QUALCHE PASSO NELL'ASTRONOMIA

Abbiamo iniziato il nostro percorso il 22 Ottobre 2012 al crepuscolo di una bella e tiepida giornata. L'appuntamento ci ha portato sulla cima di Montecassino, in un posto che ci permetteva di osservare la zona Nord-Ovest al riparo dalle luci della città.

Abbiamo atteso che le stelle apparissero e nel frattempo abbiamo volto lo sguardo intorno constatando che il cielo ci si presentava come una cupola al di sopra della Terra che sembrava piatta.

Richiami storici:

Ciò è quanto immaginavano anche i popoli dell'antichità. Essi pensavano che la Terra si estendesse a poco più del territorio che avevano esplorato e, in particolare, i popoli del Mediterraneo ritenevano che il diametro del mondo andasse dalle colonne d'Ercole, l'attuale stretto di Gibilterra a non molto oltre le terre conquistate da Alessandro Magno.

Omero (Secondo Erodoto: vissuto nel IX secolo A.C.) immaginò che la Terra fosse sormontata da una cupola sferica fatta di solido metallo su cui erano incastonati i corpi celesti che si muovevano con essa.




Fu Anassimandro (610 - 546 a.C.) l'ideatore della teoria che poneva la Terra al centro dell'universo e che, nella prima mappa delle zone abitate, la rappresentava come un disco piatto circondato da un grande fiume chiamato Oceano.





Successivamente (circa 500 a. C.) Pitagora e i suoi discepoli, principalmente per ragioni matematiche di simmetrica perfezione, ipotizzarono che la Terra, nonostante le apparenze, dovesse avere la forma sferica.

In seguito, le riflessioni di molti portarono ad accettare questa ipotesi. Tale conclusione fu tratta a partire dalla consapevolezza che l'Universo doveva essere molto più grande di quanto si era supposto precedentemente e dalla seguente conseguenza fondamentale:

I raggi provenienti da una stella molto lontana dalla Terra, per raggiungere il nostro pianeta, devono essere immaginati praticamente paralleli fra di loro (è chiaro che quelli che non lo sono, si perdono nello spazio).



Se la Terra fosse veramente piana, da qualsiasi luogo (nello stesso momento) si dovrebbe vedere una determinata stella sempre alla stessa altezza rispetto all'orizzonte.





L'esperienza di tutti i viaggiatori, invece era in contrasto con questa impostazione: tutti riferivano che alla stessa epoca, in regioni diverse, l'altezza delle stelle importanti per l'orientamento oppure l'altezza del Sole, a metà del dì, era diversa da quella che si riscontrava nelle loro regioni d'origine.

Fra le altre, le osservazioni fatte, da un importante navigatore e astronomo greco di Marsiglia, Pitea, che nel 330-320 A.C. era partito per un viaggio verso Nord, riferivano che a 6300 stadi di distanza dalla sua città, durante le giornate invernali, il Sole raggiungeva l'altezza massima di 6 cubiti e che a 9100 stadi era di 4 cubiti. Egli raccontava anche che, andando oltre, l'astro raggiungeva appena l'altezza di 3 cubiti. Pitea, fra l'altro, aveva assistito anche al fenomeno del sole che non tramonta mai.

Tutto ciò si poteva spiegare immaginando che la superficie della Terra fosse curva. Infatti, se la Terra è sferica, l'orizzonte degli osservatori non è unico, ma cambia in relazione al luogo.


Apparentemente esso è sempre un piano tangente la superficie sferica e ognuno, in qualunque posto si trovi, avrà l'impressione di avere sotto i piedi l'enorme Terra piatta sormontata da una cupola celeste che però sarà diversa per la diversa posizione degli astri visibili su di essa:




Aristotele (384-322 a.C.), il massimo filosofo greco, stabilì che la Terra doveva avere forma sferica per i seguenti motivi:

    1. l'altezza della stella polare sull'orizzonte cambia in relazione alla latitudine dell'osservatore;

    2. l'ombra della Terra che oscura la Luna durante l'eclissi del nostro satellite ha sempre un contorno curvo;

    3. gli oggetti, nello stesso giorno e alla stessa ora, a diverse latitudini danno ombre di lunghezza diversa;

    4. all'orizzonte si vedono solo le cime delle vele di una nave che si sta avvicinando;

    5. mano mano che ci si eleva in altitudine, si amplia il circolo dell'orizzonte visibile.











Nel III secolo a. C., quando l'ipotesi della sfericità era ormai accettata, Eratostene misurò con discreta precisione la lunghezza del meridiano terrestre.



Egli venne a sapere che a Siene (l'attuale Assuan, che si trova a circa 800 Km a sud-est di Alessandria), in un momento preciso dell'anno, il sole illuminava il fondo dei pozzi. Questo evento si ripeteva ogni anno a mezzogiorno del solstizio d'estate e dipendeva dal fatto che i raggi del sole,in quel luogo, cadevano verticalmente. In quel momento, un bastoncino piantato verticalmente a terra non avrebbe proiettato nessuna ombra. Egli notò che ad Alessandria, dove era stato chiamato ad amministrare la Grande Biblioteca, nello stesso giorno e alla stessa ora i raggi del Sole non erano perpendicolari al terreno, ma formavano un angolo di 7,2° con la verticale. Egli era convinto della sfericità della Terra e supponeva che i raggi del Sole, a causa della sua grande distanza, dovessero essere praticamente paralleli fra di loro, quindi la differenza di inclinazione di 7,2° doveva dipendere dalla curvatura della superficie terrestre che faceva cambiare il punto di vista dal quale gli abitanti delle due città vedevano il Sole. Date queste premesse egli ragionò in questo modo: l'angolo di 7,2° è congruente all'angolo che ha per vertice il centro della Terra e i cui lati passano rispettivamente per Alessandria e Siene (infatti sono angoli corrispondenti). Esso rappresenta la "distanza angolare" tra le due città ed è pari a un cinquantesimo dell'angolo giro che è al centro dell'intera circonferenza terrestre.

Ciò significa anche che la distanza "effettiva" tra le due città (ritenuta di 5.000 stadi) è un cinquantesimo della circonferenza terrestre.

Eratostene moltiplicò per 50 questo valore, ottenendo 250.000 stadi: la prima misura scientifica della circonferenza terrestre.

A quel tempo la stima di distanze così grandi, misurate a passi, era sicuramente molto imprecisa; inoltre è molto difficile stabilire una corrispondenza esatta tra lo stadio e il metro attuale. Di conseguenza non è facile determinare il margine di errore dei risultati ottenuti da Eratostene. La lunghezza dello stadio greco usato da Eratostene è una misura molto incerta perchè in Grecia se ne usavano diversi (dai 154 metri ai 215 metri). Secondo le opinioni più accreditate, lo stadio usato da Eratostene corrispondeva a 185 metri attuali: ne risulterebbe così una circonferenza terrestre di 46.250 km. Un dato che, tenuto conto dell'imprecisione degli strumenti utilizzati in quel tempo, nonostante superasse di oltre 6.000 km la misura accettata attualmente, è da considerarsi molto buono. (Secondo alcuni, Eratostene arrivò molto più vicino al risultato esatto: lo stadio doveva essere lungo 157,5 metri e quindi la circonferenza calcolata da lui corrispondeva 39.690 km. Questo dato è troppo vicino a quello esatto e perciò non sembra plausibile la scelta degli storici di usare i 157,5 metri!)

Soltanto nel Rinascimento, con la prima circumnavigazione del globo da parte di Magellano (1522) si ebbe la definitiva conferma della sfericità della Terra.


Riprendiamo il nostro cammino:

Quindi sappiamo che la Terra è sferica e che ci sembra piatta perchè le sue dimensioni sono così grandi da non farci percepire la curvatura della sua superficie.

Perciò quella sera di Ottobre abbiamo avuto la sensazione di trovarci al centro di una cupola celeste:



La situazione astronomica reale invece era diversa: Ogni uomo sulla superficie della Terra è il centro di una cupola personale e distinta che si differenzia in modo evidente dalle altre soltanto se le distanze fra di esse sono elevate.



La superficie piana delimitata dall'orizzonte astronomico si dispone rispetto al pianeta in posizione tangente la sfera:



La nostra cupola celeste era ormai al crepuscolo, ma qualche ora prima era stata illuminata dalla luce del Sole. I bagliori ancora visibili nella parte Ovest del cielo ci permettevano di ricostruire mentalmente l'ultima parte del tragitto giornaliero dell'astro. Il suo percorso stava continuando oltre il limite dell'orizzonte per dare inizio alla notte. Nel cielo, alta verso Sud, era visibile la Luna:



Il suo aspetto, con la parte illuminata verso Ponente, ci aveva fatto comprendere che era nella fase crescente di primo quarto e ci dava l'indicazione precisa della posizione del Sole. La situazione può essere ricostruita dalla seguente illustrazione:



Il movimento del Sole nel cielo lo aveva portato a sorgere dalla direzione Est (verso Cervaro) del nostro orizzonte, a culminare (cioè a raggiungere la sua posizione giornaliera più alta) a Sud (verso Vallemaio) e poi a tramontare ad Ovest nella direzione di Ceprano per poi sorgere, il giorno seguente, nuovamente ad Est: un giro completo intorno alla Terra nell'arco di 24 ore! Possibile???

Abbiamo eseguito un'esperienza molto semplice: ruotando lentamente la testa da Ovest (da dove il Sole era tramontato) ad Est, abbiamo notato che contemporaneamente gli alberi intorno a noi sembravano muoversi, ruotare, in senso opposto: da Est ad Ovest. (Tutti sapevamo però che gli alberi, rispetto a noi, erano fermi!).

In conclusione, il movimento del Sole nel cielo poteva essere spiegato in tre modi:

Abbiamo pensato che sia più semplice ipotizzare che la Terra ruoti su se stessa piuttosto che credere che il Sole, così lontano, possa riuscire a fare (insieme a tutte le stelle!) , in 24 ore soltanto, un giro lunghissimo intorno al nostro pianeta. (La terza ipotesi non l'abbiamo presa in considerazione).

Questa nostra conclusione era una semplice supposizione, più logica rispetto alle altre, ma non avevamo prove concrete che tutto fosse veramente così come avevamo ipotizzato.


Ragioniamo e sperimentiamo:

Consideriamo un concetto che a prima vista potrebbe sembrarci assurdo: Non è semplice stabilire se un corpo sia fermo oppure che si stia spostando!

Osserviamo le seguenti situazioni.

Situazione 1:




Situazione 2:


Immaginando che la linea orizzontale rappresenti una strada ampia:

  1. Si è mossa la sfera gialla andando sulla sinistra della rossa?

  2. Si è mossa la sfera rossa andando sulla destra della gialla?

  3. Si sono mosse entrambe in senso opposto?


E' evidente che non siamo in grado di dire che cosa sia successo!

Manca qualche cosa!

Adesso osserviamo le seguenti situazioni:

Situazione 3:



Situazione 4:




Quale delle due sfere si è mossa? La gialla!

Che cosa ha permesso di dare una risposta sicura? La presenza di un elemento fisso, immobile sicuramente per tutti noi: il palo di segnaletica stradale. Esso fa da sicuro riferimento per poter stabilire con certezza le posizioni delle due sfere. Ciò significa che la posizione di un corpo si può stabilire soltanto se tutti noi utilizziamo lo stesso riferimento fisso (immobile).

Il riferimento fisso costituisce il “Sistema di Riferimento”.

Attenzione:

il sistema di riferimento deve essere unico per tutti gli osservatori, altrimenti si corre il rischio che la descrizione di uno stesso fenomeno sia diversa per ognuno degli osservatori che hanno sistemi di riferimento diversi.

Per comprendere meglio quanto è stato detto in precedenza eseguiamo la seguente esperienza: facciamo ruotare un disco di carta posto su di un giradischi e usiamo un pennarello che sposteremo in linea retta dal centro del giradischi verso l'esterno.

Interroghiamo degli osservatori speciali:

    1. Un ipotetico minuscolo osservatore A, seduto al centro del disco e che abbia di fronte un amico B seduto sul margine (Il loro sistema di riferimento fisso è il disco che per loro risulterà fermo anche se è in rotazione)

    2. Gli osservatori esterni (che invece hanno come sistema di riferimento fisso, la Terra)

Facciamo girare il giradischi e annuciamo più volte che è nostra intenzione far muovere il pennarello esclusivamente dal centro verso l'esterno del piatto. Eseguiamo il movimento facendo in modo che il pennarello scriva.

Interroghiamo gli osservatori esterni sul movimento del pennarello: non potranno negare di averlo visto procedere in linea retta. Interroghiamo, poi, il minuscolo osservatore A seduto sul disco e, sostituendoci a lui, risponderemo sicuramente che egli ha visto il pennarello fuggire verso l'esterno con una traiettoria a spirale. Chiediamogli anche se il suo mondo è fermo o in rotazione; egli, per bocca nostra, risponderà che è assolutamente fermo in quanto il suo amico B è stato sempre immobile di fronte a lui!

In conclusione, per noi osservatori esterni, il pennarello ha seguito una traiettoria rettilinea; invece per l'osservatore A ha avuto un andamento a spirale!

Per poter stabilire la posizione di un corpo e per descrivere un fenomeno è necessario che tutti gli osservatori abbiano lo stesso Sistema di Riferimento Fisso.

Ritornando alla questione del movimento della Terra o del Sole, è evidente che non abbiamo prove concrete per poter descrivere il fenomeno.

Stando sulla Terra avremo, come l'osservatore A, la convinzione che essa, essendo ferma, possa essere il nostro Sistema di Riferimento. Per conseguenza diremo che il Sole, girando intorno alla Terra in 24 ore,si muove da Est ad Ovest.

Se fossimo sul Sole arriveremmo ad altre conclusioni e se, poi, fossimo nello Spazio la nostra descrizione del fenomeno sarebbe ancora diversa perchè ogni volta cambierebbe il Sistema di Riferimento.


Richiami storici:

L’esperienza di Giovan Battista Guglielmini

Fu la prima prova sperimentale per dimostrare la rotazione della Terra sul proprio asse.

Premessa:

Nel movimento di un corpo su di una circonferenza, che abbia un certo raggio r, si può indicare la velocità in due modi:

La prima indica l'ampiezza dell'angolo perorso nell'unità di tempo: esempio 15°/h

La seconda indica la misura dell'arco di circonferenza percorso nell'unità di tempo: esempio 830 km/h.

Nel moto circolare due punti che si trovano allineati su uno stesso raggio, ma a distanze diverse dal centro di rotazione, avranno la stessa velocità angolare, ma presenteranno una diversa velocità periferica:


Se il corpo B raggiunge la posizione D in un'ora e ilcorpo C raggiunge la posizione E in un'ora, i due corpi hanno percorso lo stesso angolo di 90° e perciò la loro velocità angolare è la stessa: 90°/h.

Invece la loro velocità periferica è diversa perchè in un'ora B ha percorso l'arco BD che è più lungo dell'arco CE percorso da C.

Nel 1791 Giovanni Battista Guglielmini, partì dalla precedente premessa per ideare un esperimento da effettuare dall'alto della Torre degli Asinelli a Bologna (altezza 110 m):

“Che cosa succede se un corpo materiale viene lasciato cadere sulla verticale da un luogo piuttosto elevato rispetto al suolo circostante?”

A quel tempo, vi erano tre idee contrastanti, che appassionavano i ricercatori.





Una prova più decisiva sulla rotazione della Terra fu data nel 1851 da Foucault con un'esperimento realizzato attraverso l'osservazione delle oscillazioni di un lungo pendolo sospeso all'interno del Pantheon di Parigi. Per comprendere i principi alla base dell'esperienza bisogna introdurre il “Primo Principio della Dinamica “ o principio d'inerzia che afferma che un corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme a meno che non intervenga una forza esterna a modificare tale stato. (In parole povere: un corpo fermo tende a rimanere fermo; un corpo in movimento rettilineo, con velocità costante, tende a continuare nel suo moto senza modificarlo. Ciò vuol dire che il corpo è inerte)

L'inerzia di quiete è provata da esperimenti simili a questo:

La moneta è ferma (è nello stato di quiete) sopra un cartoncino posto sull'imboccatura di un bicchiere.





Se con un dito si dà un colpo improvviso al cartoncino, questo abbandonerà velocemente l'imboccatura del bicchiere, ma la moneta, nonostante la fuga del cartoncino che la sosteneva, rimarrà al suo posto e perciò cadrà nel bicchiere



L'inerzia di quiete è nota a tutti coloro che si sono trovati all'interno di un autoveicolo fermo che parte all'improvviso: la loro inerzia tende a far in modo che essi non partecipino al movimento e quindi sono indotti a muoversi verso il retro per recuperare la loro posizione iniziale.




Anche l'inerzia di moto può essere sperimentata in vari modi:

Una moneta è posta su di un libro che è in movimento. Nel momento in cui si blocca lo spostamento

del libro, la moneta continua il movimento a causa della sua inerzia di moto:





Col pendolo d'inerzia di Maxwell: un corpo di massa elevata è sospeso a un telaio con due fili legati alle estremità del suo asse. Avvolgendo i fili intorno all'asse, portiamo il corpo nella posizione più alta e poi lasciamolo cadere. Il corpo, rotolando scende verso la posizione più bassa, ma, allorchè la raggiunge, non si ferma e, continuando a rotolare, riavvolge i fili e risale fino alla posizione di partenza per poi ripetere, senza sosta, tutto il movimento. (Attenzione: inizialmente il pendolo ritorna apparentemente nella posizione iniziale, ma nei passaggi successivi diventa sempre più evidente che l'altezza raggiunta progressivamente diminuisce. Ciò è dovuto all'interferenza dell'attrito fra fili e asse oltre che alla resistenza dell'aria. Nonostante ciò è facile ipotizzare che, in assenza di disturbi, il movimento del pendolo si ripeterebbe all'infinito sempre nello stesso modo!)




Anche l'inerzia di moto è nota a tutti coloro che si sono trovati all'interno di un autoveicolo in movimento che si arresta all'improvviso: la loro inerzia tende a far in modo che essi continuino a muoversi in avanti con grave rischio per la loro incolumità.






Acquisito il concetto d'inerzia siamo in grado di comprendere l'esperienza derivante dall'uso del pendolo oscillante all'interno di un piccolo telaio rettangolare di ferro in cui si ipotizza un minuscolo osservatore seduto sul telaio.



Facciamo oscillare il pendolo in direzione delle aste del telaio. Successivamente ruotiamo lentamente il telaio.

Notiamo che il pendolo conserva il suo piano di oscillazione.

Il principio d'inerzia viene confermato.

Adesso poniamoci delle domande nella veste di osservatori esterni al sistema (telaio, pendolo).

Per noi il pendolo ha conservato il suo piano di oscillazione.

Interroghiamo adesso un ipotetico minuscolo osservatore posto sul telaio del pendolo (osservatore interno al sistema telaio, pendolo).

Egli, invece, dovrebbe dire che ha visto le pareti del telaio ferme e che il pendolo cambiava la direzione dell'oscillazione.

Ciò è quello che si vide durante l'esperienza di Foucault e la rotazione del piano di oscillazione di 360° nell'arco di 24 ore confermò che le pareti del Panteon, solidali alla Terra, avevano effettuato una rotazione completa.


La rotazione della Terra intorno al proprio asse ha altre conseguenze.

Prima conseguenza:

Fino alla metà del Seicento si riteneva che la terra fosse perfettamente sferica. Ciò comportava che la misura di un arco di meridiano di 1° poteva essere effettuata a qualsiasi latitudine, fornendo sempre il medesimo risultato. I primi dubbi concreti sul fatto che la Terra fosse una sfera perfetta sorsero in seguito ai risultati conseguiti nel 1671 dall'astronomo francese J. Richer

Si scoprì che l'oscillazione di un pendolo rallentava in prossimità dell'equatore (bisogna tener presente che le oscillazioni del pendolo sono dovute alla forza di gravità terrestre):

Nel 1670-72, l’astronomo Cassini stava tentando, di misurare accuratamente l’orbita di Marte. Era necessario osservare il pianeta anche da un'altra località molto distante dall'Europa e per questo scopo inviò Jean Richer a La Cayenne, nella Guyana Francese, sulla costa settentrionale del Sudamerica.

Richer scoprì che in Guyana, a 5° di latitudine nord, il pendolo che si era portato da Parigi per la misura del tempo ritardava di circa 2 minuti e 30 secondi al giorno rispetto ad altri orologi meccanici di precisione. Richer spiegò il fenomeno ipotizzando che, in quella località, la forza di gravità fosse inferiore a quella che si registrava in Europa e che, pertanto, si dovesse concludere che la Terra non fosse perfettamente sferica in quanto doveva presentare un rigonfiamento nelle zone equatoriali. Da tutto ciò si arrivava ad un'altra conclusione: La misura di 1° di meridiano non doveva essere la stessa in luoghi con diversa latitudine!

La questione, quindi, poteva essere risolta soltanto misurando e confrontando archi di meridiano di egual ampiezza misurati a diverse latitudini. Le misure furono effettuate nel 1735 in Perù e nel 1736 in Lapponia: tutto confermò che la lunghezza dello stesso arco di meridiano a Nord è maggiore di quella rilevata in prossimità dell'Equatore: “la Terra è schiacciata ai poli”.

La causa?


Facciamo alcune riflessioni:

Affinchè un corpo possa muoversi circolarmente intorno a un centro di rotazione, è necessario che ci sia una forza (forza centripeta) che lo attragga verso di esso; ma, per far sì che non vi precipiti, è anche indispensabile che esista un'altra forza che, contrastandola, la equilibri con la sua tendenza a portarlo lontano dal centro (forza centrifuga).



Poichè la Terra ha un asse immaginario intorno a cui ruota in 24 ore, accade che i suoi vari punti non sono sottoposti alle stesse combinazioni della forza centripeta e centrifuga:




L'effetto finale è che i punti vicini all'Equatore tendono ad allontanarsi dall'asse terrestre in misura

maggiore di quelli che sono man mano più vicini ai Poli (la Terra perciò si gonfia all'Equatore e si schiaccia ai Poli).

Per confermare questi ragionamenti possiamo montare sulla macchina di rotazione una massa libera da vincoli e scorrevole lungo un'asta


Mettendo in azione la macchina vediamo che la massa, se non è perfettamente posizionata in corrispondenza del centro di rotazione, sfugge velocemente e con violenza verso l'esterno confermandoci l'effetto della forza centrifuga.

Succesivamente mettiamo in rotazione un attrezzo che, con degli anelli elastici scorrevoli lungo l'asse comune, rappresenti la forma stilizzata della Terra: lo schiacciamento polare diventa sempre più evidente con l'aumentare della velocità di rotazione!



Seconda conseguenza:

la forza di gravità, a causa dello schiacciamento polare, ha una diversa intensità in relazione alla diversa latitudine delle varie località:

in prossimità dell'Equatore, vista la maggiore distanza dal centro della Terra, essa risulta minore di quella registrabile alle latitudini intermedie o ai Poli.

(Questo fu il motivo per cui nei pressi dell'equatore il pendolo di Richer rallentava le sue oscillazioni e non segnava più il tempo esatto come era in grado di fare in Europa).

Terza conseguenza:

Quando un corpo di massa m ruota ad una velocità v intorno ad un asse distante r , si genera nell'asse di rotazione una tendenza a conservare la sua direzione ( o principio di Conservazione del Momento Angolare ).

Il Momento Angolare viene espresso quantitativamente dal prodotto

rmv = L

L è una grandezza vettoriale che ha la direzione coincidente con l'asse di rotazione, il verso definito
dall'avanzamento di una vite destrorsa che concorda con la rotazione e l'
intensità pari al valore indicato dalla formula precedente.

Da essa si comprende che il valore di L (detto Momento angolare ) è direttamente proporzionale al raggio, alla massa del corpo e alla sua velocità di rotazione.

La tendenza a conservare la direzione dell'asse di rotazione è detta Principio di Conservazione del Momento angolare.



Per comprendere il significato della tendenza alla conservazione del Momento Angolare, possiamo richiamare alla mente le nostre esperienze nell'uso della bicicletta. Tutti sappiamo che è difficile mantenere l'equilibrio quando la bici è ferma o quando è in lento movimento. Allorchè il veicolo procede con apprezzabile velocità, l'equilibrio è molto più agevole perchè le ruote, grazie alla crescita del Momento angolare, rafforzano la suddetta tendenza producendo l'effetto giroscopico che mantiene il veicolo in verticale. Il giroscopio è un semplice dispositivo costituito da una ruota di grande massa che gira ad alta velocità intorno al suo asse. L'elevato valore del Momento angolare non permette all'asse di cambiare la sua direzione e fa in modo che comunque esso sia parallelo a sè stesso.


Facciamo qualche esperienza: avvolgiamo uno spago intorno all' asse del giroscopio e poi tiriamolo con continuità e senza strappi. L'attrezzo raggiunge una grande velocità di rotazione.

  1. Sosteniamolo sulla punta di un dito: esso si mantiene in equilibrio anche quando lo si spinge lateralmente.

  2. Poggiamolo sulla punta di un giravite o su di uno spago teso da un nostro aiutante: continua a conservare l'equilibrio anche se è in una posizione che normalmente avremmo considerato di evidente instabilità.

  3. Leghiamo un'estremità del suo asse ad uno spago e, dopo averlo messo in funzione, solleviamolo tenendolo sospeso in posizione orizzontale oppure, come nella figura seguente, appoggiamolo orizzontalmente ad un sostegno: l'asse di rotazione mantiene la sua posizione orizzontale, ma contemporaneamente, a causa del disturbo dovuto alla forza di gravità, gira intorno al suo sostegno dando origine a un movimento che si chiama Precessione. (Questo esempio rappresenta una situazione estrema di Precessione perchè la direzione della forza di gravità è perpendicolare a quella del Momento angolare. Normalmente la direzione della forza di gravità forma con quella del Momento Angolare un angolo minore di 90°. Invece non si ha precessione se le due direzioni coincidono.)



Le prime due osservazioni confermano il Principio di conservazione del Momento angolare, che nel caso della Terra, ha per conseguenza che essa, durante la rivoluzione annuale intorno al Sole, conserva il parallelismo delle posizioni dell'asse terrestre:




La terza osservazione è all'origine del Movimento di Precessione della Terra: abbiamo detto che la Precessione si manifesta ogni volta che una forza esterna disturba un corpo ruotante intorno al proprio asse. Se la direzione della forza di gravità e quella del Momento Angolare formano un angolo inferiore a 90°, si genera un effetto di precessione che spinge l'asse di rotazione a ruotare, a sua volta, intorno ad un altro asse: nel caso del giroscopio o di una comune trottola è la direzione della forza peso.







Nel caso della Terra, la Precessione è causata dal disturbo che le forze di attrazione del Sole e della Luna riescono a produrre sul rigonfiamento equatoriale (se il pianeta fosse perfettamente sferico, la Precessione non si verificherebbe). La conseguenza è che l'asse terrestre ruota lentamente, in circa 26000 anni, intorno alla perpendicolare al piano della sua orbita (l'Eclittica), rispetto al quale è inclinato di circa 23°27'.




Cinquemila anni fa l'asse terrestre era diretto versa la stella Thuban della costellazione del Dragone, attualmente ha la direzione della Polare e fra 13000 anni avrà quella di Vega della costellazione della Lira.









Riprendiamo il nostro cammino:

Mano mano che i fuochi del tramonto si spegnevano ad Ovest, abbiamo notato che sempre più numerose erano le stelle che cominciavano ad affollare la volta celeste. Infine ci si è presentato questo spettacolo:


*********

Vi ho indicato con il laser due stelle particolari, Dubhe e Merak, che permettono d'individuare la Polare prolungando con lo sguardo la direzione indicata dal segmento che idealmente le congiunge. La Polare era l'unica stella più splendente in una zona di cielo con stelle molto fioche.




E' stato molto facile perchè le due stelle (Puntatori) erano basse sull'orizzonte e quindi il prolungamento della direzione aveva l'unica soluzione di portare lo sguardo verso l'alto. In altre stagioni o in orari diversi, per scegliere fra i due possibili sensi di prolungamento, sarebbe stato necessario individuare l'intera costellazione dell'Orsa Maggiore e prolungare lo sguardo sempre dalla parte del dorso dell'Orsa (Dubhe deriva dall'arabo Thar al Dubb al Akbar che significa il Dorso della Grande Orsa).










Vi ho indicato successivamente le principali stelle dell'Orsa: Dubhe, Merak, Phecda, Megrez, Alioth, Mizar, Alkaid (o Benetnash). Abbiamo portato la nostra attenzione sulla stella Mizar e vi ho chiesto di osservarla attentamente. La maggior parte di voi ha notato che molto vicino ad essa si può scorgere un'altra stella piccolina. Essa si chiama Alcor ed è appena visibile ad occhio nudo ( Esse a volte sono chiamate il Cavallo e il Cavaliere ). Scoprirla era un antico test della vista per le aspiranti guardie del Sultano. Adesso, non voltate pagina! Osservate la figura precedente (segnata con *********) e cercate le sette stelle dell'Orsa e la Polare.

Confrontate la vostra scelta con quanto rappresentato nella figura in cui sono stati disegnati gli “asterismi” delle costellazioni. Memorizzate per bene tutto.




Abbiamo di nuovo guardato la Polare e vi ho detto, indicandola con il laser, che essa si trova quasi in corrispondenza del Polo Nord Celeste individuato dall'immaginario prolungamento dell'asse terrestre uscente dal suo Polo Nord. Per aiutare la vostra immaginazione ho usato un rudimentale attrezzo, costituito da una sottile asta portante una sfera, e ne ho puntato un estremo verso la Stella Polare.
















Questo mi ha permesso di ricostruire la posizione della Terra nello spazio e, per mezzo del laser, ha consentito di prolungare l'asse verso la Stella e, poi, dalla parte opposta (sotto il terreno) verso il Polo Sud Terrestre e il corrispondente Polo Sud Celeste. Partendo dalla Polare e scendendo con il laser perpendicolarmente verso l'orizzonte vi ho fatto vedere la direzione Nord della Terra (Punto Cardinale Nord) e successivamente, portando il raggio di luce verso i miei piedi e continuando dalla parte opposta, avete avuto modo di vedere la Linea Meridiana di Montecassino. (La linea meridiana permette l'individuazione dei Punti Cardinali Nord e Sud). Risollevando il laser verso il cielo, il mio braccio ha fatto descrivere al raggio un arco che, sulla Cupola, dal Sud al Nord, rappresentava il Meridiano Celeste di Montecassino (Dal latino Meridianus da Meridies=mezzogiorno composto da Med(ius)=mezzo e dies=giorno [in latino, molte volte la d si trasforma in r.] Ha questo nome perchè è mezzogiorno quando il Sole passa sul meridiano). Quando il braccio ha indicato la verticale sulla mia testa, vi ho detto che il laser individuava nel cielo un punto importante che chiamiamo Zenit. Successivamente, proprio fra i miei piedi, all'opposto dello Zenit, vi ho detto d'immaginare sulla sfera celeste il punto che chiamiamo Nadir.




Tutti ci siamo disposti con il viso rivolto al Punto Cardinale Nord e le spalle al Cardinale Sud. Allargando le braccia, abbiamo individuato, in direzione del nostro braccio destro, il Cardinale Est (dove sorge il Sole) e, a sinistra, l'Ovest. Sollevando il laser, da Est a Ovest, passando per lo Zenit, abbiamo individuato l'arco chiamato Primo Verticale.

Il cielo alle diverse latitudini

Vi ho ripetuto che la cupola celeste ha un aspetto diverso in relazione alla località in cui si trova l'osservatore:


Quali sono quelle che non tramonteranno mai? (costellazioni circumpolari) La risposta è semplice: dato che l'angolo formato dall'osservatore con la Polare e l'orizzonte, è uguale alla latitudine del luogo in cui ci troviamo; le stelle sempre visibili sono quelle che si trovano ad una distanza angolare dal Polo Celeste che sia inferiore al valore della latitudine geografica. Esse nell'arco delle 24 ore ruotano in senso antiorario e possono apparire alte o basse nel cielo a seconda della frazione compiuta del percorso circolare intorno alla Polare, ma saranno sempre sopra l'orizzonte. (Alla nostra latitudine, le principali sono: l'Orsa maggiore, l'Orsa minore, Cassiopea, Cefeo, Drago, Giraffa)







Le altre costellazioni sorgono e tramontano (Occidue. Dal latino occidere = tramontare). Esse si avvicendano nel cielo, ricomparendo ad intervalli regolari nell’arco dell’anno (in ogni stagione si vedono costellazioni particolari che non sono visibili negli altri periodi). Quindi il cielo stellato estivo è completamente differente da quello invernale, così come quello primaverile è differente da quello autunnale. (In seguito vi dirò il perchè.)








Conseguenze: La variabilità dell'aspetto del cielo alle diverse latitudini è una delle ragioni che hanno imposto di escogitare un sistema che permetta d'individuare con precisione una stella indipendentemente dal posto in cui si effettua l'osservazione.

Procediamo gradualmente:

I primi osservatori del cielo subivano il fascino della volta stellata, del ciclo diurno del Sole e dei fenomeni celesti che oltretutto scandivano e regolavano i cicli naturali (l'alternarsi del dì e della notte, delle stagioni e anche delle attività umane). Tutto si presentava ai loro occhi in modo da essere al di là di ogni comprensione e con la connotazione propria dei fenomeni soprannaturali. Nei Salmi è scritto:

I cieli narrano la gloria di Dio,
E l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio,
E la notte alla notte ne trasmette notizia.
Non è linguaggio e non sono parole,
Di cui non si oda il suono.
Per tutta la terra si diffonde la loro voce,
E ai confini del mondo la loro parola.
Là pose una tenda per il sole,
Che esce come sposo dalla stanza nuziale,
Esulta come prode che percorre la via.
Egli sorge da un estremo del cielo,
E la sua corsa raggiunge l'altro estremo:
Nulla si sottrae al suo calore.....


(Nonostante le spiegazioni meccanicistiche della Scienza moderna, oggi il messaggio mi sembra ancor di più veritiero e attuale!)


Di fronte allo spettacolo del cielo stellato, affollato di migliaia di punti luminosi disposti disordinatamente sulla volta celeste, la mente si smarrisce e non è in grado di distinguerne gli elementi in modo da poter costruire e ricordare una mappa utile per le osservazioni future. Per impadronirci della realtà e per poterla descrivere con accettabile precisione dobbiamo tener presente che il cervello opera al massimo della sua efficienza quando dal mondo circostante riceve segnali semplici, oppure anche complessi, ma dotati di regolarità.

La ricerca delle regolarità permette l'ampliamento delle conoscenze e la loro successiva trasmissione.

Inoltre la conoscenza non si raggiunge con la semplice osservazione, occorre anche comprendere e saper descrivere.

Osserviamo le due figure seguenti:



E' evidente che la mente trova molto più agevole l'osservazione, la comprensione e la descrizione della figura B perchè vi scorge una regolarità: basta uno sguardo fugace per comprenderne la struttura, descriverla e perfino riprodurla senza errori significativi.

Tutto ciò non è possibile nella figura A proprio perchè in essa non vi sono regolarità.

Così, rintracciare una data stella, fra le tante che affollano il cielo, ci sembra molto difficile perchè non riconosciamo una regolarità che ci guidi.

Eppure gli uomini sono riusciti a farlo fin dai tempi più remoti! Perchè?

La mente è istintivamente mossa dalla curiosità e il suo lavorio non si arresta in presenza di difficoltà: se non si scoprono regolarità, la soluzione è costruirsene una fittizia che si adatti allo scopo!



Adesso è più facile ricordare lo schema che permette di descrivere e rappresentare la figura A.

Le regolarità, secondo disegni immaginari, diedero origine a quei raggruppamenti di stelle che chiamiamo costellazioni. Le figure (Asterismi) hanno permesso di enumerare le stelle che le compongono e di ricordarne la disposizione.

La fantasia dei vari popoli ha realizzato il resto attribuendo a ciascuna costellazione un nome e una leggenda che, stimolando l'immaginario collettivo, ne rendesse indelebile la conoscenza. Così abbiamo la costellazione dei Gemelli (Castore e Polluce), di Orione, di Ercole, i cui nomi s'ispirano alla mitologia greca.

Alcune costellazioni (costellazioni guida), attraverso l'allineamento delle loro stelle, permettono d'individuare le altre che risultano visibili in determinati periodi dell'anno. (Con questo sistema,durante il nostro primo incontro, guidati dall'Orsa Maggiore, abbiamo già individuato l'Orsa Minore e la stella polare, poi Bootes, Corona Boreale, Ercole, Lira, Cigno, Aquila).

Costellazioni primaverili:

Prolungando l'allineamento δ e γ dell'Orsa Maggiore s'individua Regolo, la stella più luminosa della costellazione del Leone.

Prolungando l'arco formato dalle tre stelle della coda dell'Orsa s'individua Arturo,la stella più luminosa di Bootes.

Proseguendo l'arco oltre Arturo si arriva alla stella Spica nella costellazione della Vergine.






Unendo β e γ del Leone e prolungando la linea con lo sguardo s'individua la costellazione del Cancro costituita da stelle poco luminose e disposte in modo da formare la figura della lettera λ dell'alfabeto greco. Sulla stessa direzione,quasi al centro del Cancro, vi è l'ammasso globulare aperto M44 (osservabile col telescopio).




Costellazioni estive:

Il cielo estivo è dominato da tre costellazioni: la Lira, il Cigno e l'Aquila che con le loro tre stelle principali formano un triangolo (il cosiddetto Triangolo estivo).

Prolungando la linea congiungente le stelle γ e δ dell'Orsa Maggiore, lo sguardo arriva in prossimità di Deneb (la coda), la stella più luminosa del Cigno. La costellazione è molto ampia e si riconosce immediatamente perchè le sue stelle sono disposte a formare una croce. Le altre due costellazioni s'individuano facilmente perchè in quella zona di cielo le altre due stelle più luminose: Vega, della Lira, e Altair, dell'Aquila, formano con Deneb un vasto triangolo che può sembrare isoscele.









La Lira ha la forma di un piccolo parallelogramma che sul prolungamento di uno dei lati minori presenta la sua stella più luminosa: Vega.

La costellazione dell'Aquila ha Altair posta fra due stelle poco luminose. Esse rappresentano la coda dell'animale che dispiega le ali e protende il capo in direzione parallela alla testa del cigno.

Prolungando, con lo sguardo, l'allineamento fra Vega, le tre stelle della coda e l'estremità dell'ala dell'Aquila si arriva al centro della costellazione del Capricorno (Altair è quasi al centro del percorso).



Costellazioni autunnali:

L'allineamento di γ e δ di Cassiopea porta ad individuare Mirfak, la stella più luminosa di Perseo, però il modo più facile per rintracciare la zona occupata dalla costellazione sarebbe quello di riconoscere nel cielo anche l’ammasso delle Pleiadi, quel grappolo di stelle vicinissime l’una all’altra che appare evidente anche a uno sguardo inesperto. L’area tra Cassiopea e le Pleiadi è occupata proprio dalla costellazione di Perseo, le cui stelle disegnano una specie di Y rovesciata un po’ approssimativa. In ottobre occorre guardare in prima serata verso nord-est, mentre a novembre e dicembre, nelle ore precedenti la mezzanotte, la costellazione di Perseo transita vicino allo zenith, quindi esattamente sopra le nostre teste.



Altra stella, importante per le sue caratteristiche, è Algol : una variabile ad eclisse. Essa cambia la sua luminosità in un periodo di circa 3 giorni ( 2 giorni 20 ore e 49 minuti ) perchè è composta da due stelle che orbitano strettamente l'una intorno all'altra. Quando la seconda stella, più debole della prima passa davanti all'altra, la luce totale, visibile dalla Terra, diminuisce e poi riaumenta quando le due stelle risultano entrambe visibili.


La variabilità della stella ha originato il suo nome: Algol deriva dall'arabo: ra's al-ghūl che significa testa del demonio. (Dalla mitologia greca, invece, era un occhio della testa di Medusa che era in grado di pietrificare chiunque lo guardasse)



L'asterismo più preciso di Andromeda è il seguente:




In esso è indicata anche la posizione della Galassia M31 (la Galassia spirale di Andromeda che è molto simile alla nostra Via Lattea)

La stella α appartiene ad andromeda e con altre tre stelle forma il Grande quadrato di Pegaso il cui asterismo completo è il seguente:





Costellazioni invernali:

Prolungando lo sguardo secondo l'allineamento delle stelle Phekda e Merak e dalla parte opposta alla coda dell'Orsa Maggiore s'incontra Betelgeuse, stella di Orione, il cacciatore. Invece l'allineamento in diagonale fra Megrez e Merak porta alla stella Polluce della costellazione dei Gemelli. Infine, seguendo la linea Megrez – Dubhe si arriva alla stella θ (theta) dell'Auriga, una costellazione a forma di pentagono. Dalla sua stella γ (che è considerata anche un corno del Toro) si arriva alla costellazione del Toro che ha le stelle disposte in modo da formare un angolo acuto in cui si distingue la più luminosa: Aldebaran (al-dabaran: l'inseguitore)


Comunque vi consiglio d'individuare, prima di tutto, Orione perchè è il centro riferimento più vicino alle altre costellazioni visibili nello stesso periodo dell'anno:


Come vedete dalla figura, la costellazione ha la forma di un grandissimo quadrilatero ai cui vertici sono situate stelle molto luminose. La prima che avete individuato, tramite l'Orsa Maggiore, è Betelgeuse (rispetto alle altre si trova a NE),raffigurante la spalla destra di Orione. Guardandola con attenzione vi accorgerete che ha una luminosità leggermente rossastra. Dalla parte opposta (a NO) si trova Bellatrix (dal latino: La guerriera), la spalla sinistra del gigante; a SO vi è Rigel (dall'arabo rijl che significa piede), raffigurante il piede sinistro; a Ovest il ginocchio del gigante rappresentata dalla stella Saiph. Il piede destro non è visibile e si immagina nascosto dietro la costellazione del lupo.

Internamente al quadrilatero si trovano tre stelle (Alnilam, Alnitak e Mintaka) allineate quasi orizzontalmente, le quali costituiscono la cintura di Orione.




L'allineamento Alnilam-Betelgeuse vi porta verso la costellazione dei Gemelli (a NE) che si riconosce per la disposizione delle sue quattro stelle principali a formare quasi un rettangolo: il lato più corto è formato dalle due sue stelle più luminose: Castore e Polluce.






Prolungando a SE l'allineamento delle tre stelle della cintura di Orione, si arriva a Sirio, la stella più luminosa del cielo, nella costellazione del Cane Maggiore. (Procione, appartenente al Cane Minore, si trova ad Est di Betelgeuse.

Prolungando, lo stesso allineamento della cintura di Orione, dalla parte opposta s'individua Aldebaran, (di colore leggermente rossastro): la stella più luminosa della costellazione del Toro (Aldebaran ne è l'occhio). E' facilmente riconoscibile la disposizione ad angolo acuto delle sue principali componenti che formano un ammasso di stelle: le Iadi. I due prolungamenti dell'apertura dell'angolo portano a individuare le stelle terminali delle corna del Toro (Quella più a Nord, come vi ho già detto, completa il pentagono dell'Auriga).

A Nord-Ovest, sempre nella costellazione del Toro, si nota un piccolissimo ammasso di stelle splendenti e ravvicinate: le Pleiadi.


Perchè alcune costellazioni si vedono soltanto in alcuni periodi dell'anno:

Sappiamo che riusciamo a vedere le stelle quando la parte della superficie terrestre su cui ci troviamo non è rivolta verso il Sole. Ciò è conseguenza della rotazione della Terra intorno al proprio asse.

Se la Terra e il Sole fossero fermi l'una rispetto all'altro, la conseguenza sarebbe che ogni notte dovremmo vedere sempre le stesse stelle.

Ciò non accade!

Le stelle visibili in estate non lo sono in inverno!

Da questa constatazione si deduce che la posizione di osservazione della Terra cambia.



Ciò significa che il nostro pianeta si muove intorno al Sole e compie un giro completo nell' intervallo di tempo necessario per permettere ad un osservatore di tornare a rivedere le stesse costellazioni che erano visibili al momento dell'inizio delle osservazioni.

Vi sto parlando di più osservazioni e non di una soltanto. (L'Astronomia richiede passione, sacrificio, perseveranza e pazienza smisurata!)

Come si può organizzare questo tipo di controllo?

Esistono due metodi:

Quello più antico e preciso consiste nell'osservare il cielo a Est, ad ogni alba. Si nota che le ultime stelle che si vedono prima del sopraggiungere della luce del Sole non sono sempre le stesse: nei giorni successivi, esse si vedono progressivamente sempre più in alto mentre altre stelle cominciano a spuntare all'orizzonte. Infatti,nel nostro emisfero boreale,la costellazione di Orione non si vede ancora affacciarsi ad Est durante le albe di luglio.

Soltanto in agosto si comincia a vederla mentre, giorno per giorno, fa sempre di più capolino all'orizzonte.

Se all'inizio del periodo di osservazione si registra quale stella è visibile all'orizzonte, si potrà dire che, quando ritornerà ad essere visibile nella stessa posizione all'alba, la Terra avrà fatto un giro completo intorno al Sole. Il tempo trascorso è quello che chiamiamo anno siderale ( è di 365,2564 giorni solari medi ) che corrispondono a 365 giorni, 6 ore, 9 minuti e 12 secondi.


Ripassiamo un po' di matematica: la durata è 365 giorni e 2564 decimi millesimi di giorno. Quante ore intere daranno giorni 0,2564 ? Dato che 1 giorno è composto da 24 ore, la trasformazione si fa moltiplicando 0,2564 per 24 (0,2564*24 = 6,1536 cioè 6 ore e 0,1536 decimimillesimi di ora)

La trasformazione in minuti si ottiene moltiplicando 0,1536*60 = 9,216 cioè 9 minuti e 216 millesimi di secondo.

La trasformazione in secondi è 0,216*60 = 12,96 cioè 12 secondi interi.


L'anno sidereo è più facilmente calcolabile e per questo motivo fin dall'antichità esso si calcolava considerando l'apparizione all'alba della stella Sirio (del Cane Maggiore)

La stella del Cane annuncia l'arrivo delle giornate calde e secche dell'estate, da qui l'espressione popolare: “"la canicola estiva"” (oppure: “"c'è la canicola")”.




L'altro metodo consiste nel prendere il Sole come elemento di misurazione:

Si calcola il tempo intercorrente fra il passaggio del Sole sul meridiano del luogo di osservazione (mezzogiorno solare) in due solstizi d'estate successivi o due solstizi d'inverno (oppure due equinozi di primavera o due equinozi d'autunno). Normalmente si considerano i due equinozi di primavera.

Questa intervallo si chiama anno solare o anno tropico (dal greco tropos=rotazione) e dato che la sua durata non è costante, è stato calcolato l'anno tropico medio che corrisponde a 365,2422 giorni SI che corrispondono a 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi.

Sull'anno tropico è fondato il calendario gregoriano che è il più diffuso al mondo.


L'anno sidereo è più lungo dell'anno tropico (a.s. = 1,000039 a.t.) a causa della precessione degli equinozi (fenomeno scoperto dall'astronomo greco Ipparco già nel II secolo a. C). Ogni anno, infatti, gli equinozi si spostano, anche se di una distanza minima, lungo l'eclittica: in questo modo l'equinozio di primavera si verifica alcuni minuti prima di quanto dovrebbe e perciò l'anno tropico (o solare) è più breve.


Adesso siamo pronti per comprendere pienamente il nostro processo di osservazione delle costellazioni:

Giorno per giorno accade che, quando il cielo è illuminato dal Sole, non possiamo vedere le stelle perchè il loro splendore è sopraffatto dalla luminosità dell'atmosfera. Esse comunque sono lì, davanti ai nostri occhi, ma non siamo in grado di rilevarne la presenza. Finalmente le vedremo quando, per effetto della rotazione della Terra intorno al proprio asse, saremo rivolti dalla parte opposta rispetto alla posizione del Sole.


Nel corso dell'anno, quando per effetto del suo movimento di rivoluzione intorno al Sole la Terra si troverà nella posizione 1, vedremo bene per quasi tutta la notte la costellazione della Bilancia (mentre la Vergine sarà verso Ovest e lo Scorpione ad Est) e di giorno, essendo rivolti verso il Sole non potremo vedere la costellazione dell'Ariete e del Toro.

Nella posizione 2 (il mese successivo), di notte vedremo lo Scorpione, mentre la Bilancia sarà ad Ovest e il Sagittario ad Est. Di giorno non potremo vedere i gemelli, il toro e il cancro.

Adesso è facile comprendere che cosa accadrà nelle posizioni 3 e 4.




Nel disegno seguente possiamo stabilire con precisione che cosa accadrà nelle varie stagioni dell'anno.


Le costellazioni che ho nominato sono quelle che appartengono allo Zodiaco (dal greco zòon=animale). Esse sono tutte quelle che sono attraversate dal piano immaginario (piano dell'Eclittica) su cui si trovano sia la Terra che il Sole ed è quello su cui il nostro pianeta percorre la sua orbita annuale intorno al Sole (vedi figura seguente)




Lo Zodiaco è costituito da 12 costellazioni (Ariete, Toro, Gemelli, Cancro, Leone, Vergine, Bilancia, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario, Pesci) che lungo l'Eclittica occupano ognuna una distanza angolare di 30° (360° : 12 = 30°) e si estendono al di sopra e al di sotto di essa per circa 8-9 gradi. Dato che noi siamo osservatori posti sulla Terra, in movimento intorno al Sole, abbiamo l'impressione che la nostra stella si muova sullo sfondo dello Zodiaco. In verità, come vi ho già detto, il Sole c'impedisce di vedere le costellazioni che sono nello sfondo del cielo, ma possiamo scoprirle sapendo che esse sono le opposte a quelle che vediamo di notte: così quando è il 21 marzo sappiamo, dalla posizione della Terra, che il Sole ha nello sfondo del cielo la costellazione dei Pesci perchè, alle ore 24 di notte, vediamo a Sud la costellazione della Vergine.






 

 

 

 

 

 

 

 


L'asse di rotazione terrestre non è perpendicolare al piano dell'eclittica, ma è inclinato di 23°27'.

La conseguenza è che il piano dell'equatore celeste non coincide col piano dell'eclittica e fra i due vi è lo stesso angolo di 23°27' .


Quindi i due piani s'intersecano e le due linee (quella dell'equatore celeste e dell'eclittica) hanno in comune due punti:

  1. il Punto Vernale (Primo dell'Ariete o Punto Gamma) indicato con γ

  2. il Punto della Bilancia, indicato con Ω (omega)

Il Sole, nel suo moto apparente nel cielo, si trova nel Punto Gamma all'inizio della primavera (21 Marzo) ed è contemporaneamente sull'eclittica e sul piano dell'equatore celeste. In quel momento la nostra stella illumina sia il Polo Nord che il Polo Sud e per questo il cerchio d'illuminazione divide a metà tutti i paralleli terrestri. La conseguenza è che in qualsiasi luogo della superficie del pianeta il dì dura quanto la notte (12 ore): è l'equinozio di primavera (equi noctis: notte uguale al dì).




Quando il Sole si trova nel Punto della Bilancia (22-23 Settembre) si verificano le stesse condizioni e perciò si ha un altro equinozio che è detto d'autunno.

Questi nomi derivano dalla situazione astronomica di circa 2100 anni fa:

dalla Terra (di notte) si vedeva la Bilancia e quindi si poteva dire che il Sole era in direzione dell'Ariete.

 



A causa del movimento di precessione è avvenuto che la linea d'intersezione fra i piani dell'eclittica e dell'equatore si è pian piano spostata e, oggi, la situazione al 21 marzo non è più corrispondente a quella del disegno precedente, ma la linea Terra-Sole punta alla costellazione dei Pesci (come nel seguente disegno)

 

 

 

 

 

 

 

 


Ogni anno, dopo l'equinozio di primavera, il Sole, nel suo viaggio apparente, si sposta lungo l' eclittica sollevandosi sempre di più rispetto all'equatore e raggiunge l'apice nel giorno del Solstizio d'estate (21 giugno). In quel momento tutto il Circolo Polare Artico risulta illuminato, mentre quello Polare Antartico è nel buio più completo. Il cerchio d'illuminazione della Terra taglia a metà soltanto l'equatore terrestre e, superando il Polo Nord di un angolo di 23° 27', determina il confine del Circolo Polare Artico e, nell'emisfero boreale, illumina la lunghezza dei paralleli per più della metà (l'opposto si verifica nell'emisfero australe). La durata del dì è uguale a quella della notte soltanto nelle località equatoriali, mentre man mano che si va più Nord la durata del dì aumenta sempre di più perchè la parte di parallelo illuminato è via via maggiore della parte non esposta ai raggi del Sole (Per questo motivo, durante l'estate, quando il sole è già tramontato a Cassino, nei pressi di Praga [in Cecoslovacchia] e a Dresda [in Germania], che sono quasi sullo stesso meridiano, è ancora giorno).




La fascia dello zodiaco è anche quella in cui gli antichi osservatori del cielo scoprirono che alcuni astri, nel corso del tempo erano osservabili in posizioni diverse rispetto alle stelle che risultavano fisse. Gli antichi greci, per questa loro caratteristica, li indicarono con il nome planetes ( erranti ).

I pianeti (planetes) conosciuti nell'antichità erano quelli osservabili ad occhio nudo fin dai tempi più remoti: Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno (Anche la Luna era considerata un pianeta e la Terra era il centro di tutto). Soltanto Urano, Nettuno e Plutone sono stati scoperti in epoche relativamente recenti perchè, per poterli osservare, è stato necessario l'uso del Telescopio e una paziente ed estenuante indagine nelle zone opportune del cielo.

Sir Frederick William Herschel, il 13 marzo del 1781, scoprì Urano

Herschel

Nettuno fu scoperto da John Couch Adams nel 1846. Adams era un astronomo inglese che per primo, all'età di 24 anni, predisse l'esistenza e la posizione di un corpo planetario oltre l'orbita di Urano. L'astronomo tedesco Johann Gottfried Galle (insieme a Heinrich Louis d'Arrest), confermò l'esistenza di Nettuno basandosi invece sui calcoli del matematico francese Urbain Jean Joseph Leverrier, compiuti in modo del tutto indipendente da Adams. A differenza di Leverrier, però, Adams non pubblicò le sue previsioni ed è quindi un miracolo che la comunità scientifica gli abbia attribuito il merito di questa scoperta. A volte i due scienziati vengono citati insieme come "gli scopritori di Nettuno".

Adams

Plutone fu scoperto dall'astronomo Clyde Tombaugh nel 1930

Tombaugh

La maggior parte dei pianeti percorre orbite intorno al Sole che si trovano quasi nello stesso piano orbitale (eclittica) della Terra, differendo di pochi gradi al massimo, pertanto essi appaiono sempre vicini all'eclittica quando vengono osservati nel cielo. Mercurio, con un'inclinazione orbitale di 7°, e Plutone, a 17°, sono le eccezioni.

Le dimensioni dei principali corpi del Sistema Solare e le loro distanze dal Sole sono le seguenti:

Per confrontare le dimensioni dei corpi del Sistema Solare si può realizzare la rappresentazione del Sole con un disco di diametro 1 m. In proporzione la Terra avrebbe un diametro di 9 mm. e Giove (il pianeta più grande) il diametro di circa 1 dm.(Si possono disegnare i pianeti all'interno del disco Solare con il diametro riportato nella tabella).

Questa rappresentazione ci sorprenderebbe sicuramente!
Continuando in questo tipo di rielaborazione, sarebbe stimolante ridurre tutto il Sistema Solare in modo da accoglierlo in una sala lunga circa 12 m.
In questa situazione il Sole e Plutone (all'Afelio) verrebbero situati rispettivamente sulle due pareti opposte e 12 metri rappresenterebbero 7.900.000.000 di Km.
[Questa scala di riduzione impedisce di rappresentare in dimensioni apprezzabili sia il Sole, soltanto 2 millimetri di diametro, e sia, soprattutto, i pianeti (la Terra avrebbe un diametro di 2 centesimi di millimetro!): un insignificante pulviscolo più piccolo di quello che si vede vagare nell'aria in una stanza buia quando dalle tapparelle filtra qualche raggio di sole].
Tutto ciò corregge enormemente l'idea che normalmente si ha del Sistema Solare: esso è sostanzialmente vuoto! (Nello spazio la materia è estremamente rarefatta.)
Dove dovrebbero essere posti i vari pianeti in questa stanza lunga 12 metri?

Per darvi un'idea più concreta di quanto vi ho detto, vi presento un'immagine reale della Terra: un puntino chiaro, appena visibile attraverso la "foschia" degli anelli di Saturno:

Siamo quel puntino laggiù. È la Terra, vista dalla sonda Cassini in orbita a 2,2 milioni di chilometri intorno a Saturno. L'immagine è la somma di 165 foto scattate nell'arco di quattro ore il 15 settembre 2006. La particolarità di questa foto è che è l'immagine della Terra ripresa a più grande distanza mai realizzata, oltre un miliardo di chilometri, e fa comprendere quanto piccoli siamo anche nel Sistema solare

In questo vuoto spinto appena osservato, dove dovremmo collocare la stella più vicina: Proxima Centauri?
Sapendo che la distanza di Proxima è 4,3 anni luce e che la velocità della luce nel vuoto è di 300000 Km/sec scopriremmo che, in questa nostra rappresentazione in scala ridotta, la dovremmo disporre a 61 Km di distanza da Cassino e cioè, in linea d'aria, ad Anagni (oltre Frosinone) oppure nella Reggia di Caserta.


Tutto ciò, sicuramente, ci sgomenta: siamo soli, in uno spazio vuoto, sopra un granellino di polvere su cui, chissà perchè, riusciamo a vivere. Non è un miracolo?
La nostra vita è legata alla Terra e al Sole.
E' nostro interesse rispettare il pianeta che ci ospita!

Adesso proviamo a ripercorrere, anche con immagini in parte reali, ciò che vi ho illustrato precedentemente e che abbiamo sperimentato a scuola durante il pomeriggio di giovedì 24 ottobre del 2013:

L'approfondimento della conoscenza dell'immenso spazio esterno al pianeta Terra ha avuto inizio dal momento in cui Galileo, avuta notizia dell'invenzione di un cannocchiale, se ne costruì uno e, nell'autunno del 1609, lo rivolse verso il cielo.

1) Tubo: 20 doghe di legno, incollate su un foglio di carta e ricoperte di pelle rossa con bulinature in oro. A entrambe le estremità, la pelle lascia scoperte le doghe per consentire l’innesto a pressione dei cilindri porta-ottiche La sua lunghezza complessiva è di 835 mm.

2) Alloggio dell'obiettivo
È costituito da un cilindro di legno, ricoperto della stessa pelle del tubo, lungo 45 mm e del diametro esterno di 61 mm. Un’estremità si inserisce a pressione sul tubo, l’altra, con un diametro interno di 52 mm, ospita la lente obiettiva, protetta da un anello di legno.

3) Obiettivo
È costituito da una lente piano-convessa (convergente) con la convessità rivolta verso l’esterno. La sua lunghezza focale è 980 mm, il suo diametro 37 mm e il suo spessore al centro 2,0 mm. Un diaframma in cartone ne limita l’apertura utile a 15 mm.

4)Tubo porta-oculare
È costituito da un cilindro di legno, ricoperto della stessa pelle del tubo, lungo 40 mm. Un’estremità è inserita a pressione sul tubo, mentre l’altra, il cui diametro interno è uguale al diametro esterno del barilotto, consente lo scorrimento di quest’ultimo per la messa a fuoco dell’oggetto osservato.

5) Alloggio dell'oculare
Modernamente detto barilotto, l’alloggio della lente oculare è costituito da un cilindro in cartone della lunghezza di 30 mm e del diametro esterno di 40 mm. La lente è situata a poco meno di un centimetro dall’estremità esterna del barilotto.

6) Oculare
L’oculare originale è andato perduto. Quello attuale è costituito da una lente equiconcava della lunghezza focale di — 47.5 mm (il segno negativo sta ad indicare che la lente è divergente). Il suo diametro di 22 mm e il suo spessore al centro di 1,8 mm. Un diaframma in cartone ne limita l’apertura utile a 15 mm.

Gli astri conosciuti gli svelarono fisionomie inattese, e per la prima volta dei nuovi corpi celesti si manifestarono ai suoi occhi.

Attualmente l'umanità ha a disposizione telescopi enormi, radiotelescopi, telescopi in orbita intorno alla Terra e navicelle spaziali.

Telescopio binoculare in Arizona

Una lente (diametro 8,4 metri) dell'obiettivo (25% di proprietà italiana) del Grande telescopio in Arizona

In 400 anni le conoscenze si sono moltiplicate e approfondite e grazie ad esse vi posso presentare un riassunto che vi stupirà più di quanto siano riuscite a fare le ricostruzioni in scala che vi ho fatto sperimentare a scuola.

Le dimensioni della Terra (Earth, diametro Ø 12.756 km) rispetto a Venere (Venus, Ø 12.104 km),
Marte (Mars, Ø 6.794 km), Mercurio (Mercury, Ø 4.880 km) e Plutone (Pluto, Ø 2.274 km).
N.B.: la nostra Luna ha un diametro di 3.476 km, è più grande di Plutone e più piccola di Mercurio.

Le dimensioni dei giganti pianeti gassosi Giove (Jupiter, diametro Ø 142.984 km),
Saturno (Saturn, Ø 120.536 km, ovviamente esclusi gli anelli),
Urano (Uranus, Ø 51.118 km) e Nettuno (Neptune, Ø 49.532 km)
rispetto ai piccoli pianeti rocciosi in basso:
Terra (Earth), Venere, Marte, Mercurio e Plutone (Pluto).

Le dimensioni del Sole (Sun, diametro Ø 1.390.000 km) rispetto ai pianeti.

Le dimensioni delle stelle Arcturus (Arturo, alfa a Boötis, diametro Ø 22.101.000 km),
Pollux (Polluce, beta b Geminorum, Ø 11.120.000 km)
e Sirius (Sirio, alfa a Canis Majoris, Ø 2.335.000 km) rispetto al Sole.
A questa scala Giove è grande un pixel e la Terra è invisibile.

Le dimensioni delle stelle Antares (alfa a Scorpii, diametro Ø 1.330.000.000 km),
Betelgeuse (alfa a Orionis, diametro 903.500.000 km),
Aldebaran (alfa a Tauri) e Rigel (beta b Orionis) rispetto ad Arcturus, Pollux e Sirius.
A questa scala il Sole è grande un pixel e Giove è invisibile.
La stella più grande conosciuta è VY Canis Majoris che, con un diametro di 2.900.000.000 km,
è più del doppio (in diametro NON in volume!) di Antares! Non sarebbe possibile rappresentarla qui perchè, con questa scala, uscirebbe dallo schermo.

Da adesso in poi le dimensioni e le distanze diventano così grandi da non poterle più indicare in chilometri perchè sarebbero poco comprensibili. Useremo lo

Spaziotempo
1 anno luce è = 9,4608 x 1012 km = 9.460.800.000.000 km
perchè la velocità della luce (indicata con c dal latino celeritas)
è c = 299.792,458 km/s (circa 300000 km/s)

Per comprendere bene le implicazioni della premessa precedente, dovete pensare che la luce emessa dal Sole, viaggiando alla velocità di 300.000 km/s, per coprire i 150 milioni di km della distanza Sole-Terra, impiega circa 8' 20”. Ciò significa che quando guardiamo il Sole non lo vediamo come è, ma come era 8' 20” fa. Se, per assurdo, il Sole dovesse esplodere mentre lo stiamo guardando, noi non lo vedremmo esplodere: il fenomeno si manifesterà ai nostri occhi soltanto 8' 20” dopo.

Passiamo al secondo esempio, ma adesso non parlerò più di una manciata di minutini-luce. Nelle sere d'autunno, sotto un cielo stellato bello buio, senza Luna e foschia (consultate le precedenti mappe stellari) possiamo vedere la costellazione di Andromeda. In essa, ad occhio nudo, si nota la presenza di uno strano tenue bagliore allungato.

Questo strana nebbiolina è l'oggetto celeste più lontano visibile ad occhio nudo. Dovete sapere che tutti gli oggetti celesti visibili ad occhio nudo fanno parte della nostra Galassia, del nostro universo-isola, con sole tre eccezioni: la Piccola e la Grande Nube di Magellano, che sono invisibili nell'emisfero boreale, e questa nebbiolina. (L'oggetto celeste più lontano visibile ad occhio nudo).

È la galassia di Andromeda, detta M31 perchè porta il numero 31 nel catalogo dell'astronomo francese Charles Messier. Ha un diametro di 150.000 anni luce, è costituita da oltre 400 miliardi di stelle e dista da noi 2 milioni e seicentomila anni luce. Ciò significa che quando la guardiamo, non la vediamo in tempo reale, cioè come è in quel momento. La vediamo come era 2 milioni e seicentomila anni fa. Ripetendo l'esempio che abbiamo fatto per il Sole, se, per assurdo, M31 dovesse esplodere mentre la stiamo guardando, noi non la vedremmo esplodere. La vedremmo, per modo di dire, esplodere 2 milioni e seicentomila anni dopo. Attenzione! data la velocità fissa della luce nel vuoto, quando guardiamo molto lontano nello spazio, noi guardiamo anche molto lontano anche nel tempo. Cioè noi guardiamo molto lontano nello spaziotempo. Quella luce che colpisce i nostri occhi è partita 2 milioni e seicentomila anni fa quando l'Homo sapiens (NOI) non esisteva ancora. Non esisteva neanche il nostro progenitore Homo erectus, che circa 700.000 anni fa ha dominato il fuoco.
Due milioni e seicentomila anni fa (forse 2.400.000) il primo progenitore acquisiva le caratteristiche umane con un'intelligenza che gli permetteva di costruire strumenti scheggiando intenzionalmente le pietre e così si differenziava dalle scimmie antropomorfe dando origine ad una nuova specie: la specie Homo.

L'attività dell'Homo Abilis presupponeva che:

1.Sapesse prefigurare la necessità futura di tali oggetti;
2.Sapesse scegliere i materiali disponibili per costruirli;
3.Possedesse l'abilità manuale e cognitiva per realizzarli secondo necessità.

Gola di Olduvai nel Ngorongoro in Tanzania (origine dell'Homo Abilis)

Continuando l'esplorazione dello spazio siamo arrivati a individuare la posizione delle stelle più vicine al Sole ad una distanza di 15 anni luce:

Vicino al Sole c'è quella piccola stellina rossa, Proxima, detta anche alpha Centauri C perchè fa parte di un sistema stellare triplo. Si chiama Proxima, come sapete, perchè è la stella più prossima, cioè più vicina, al Sole, a circa 4,3 anni luce.

Ecco i dintorni del Sole in un raggio di 250 anni luce. Se leggete i nomi abbreviati, vi sono gran parte delle stelle delle costellazioni che conoscete: orsa minore, o maggiore, gemelli, dragone, cassiopea, andromeda, pegaso, auriga, eccetera.

A 5.000 anni luce dal Sole, si vedono delle strisce che sono l'effetto di miliardi di stelle raggruppate nei bracci (arm in inglese) a spirale della Via Lattea, la nostra Galassia.

La nostra Galassia, che chiamiamo Via Lattea, ha un diametro di circa 100.000 anni luce
ed è molto simile alla galassia a spirale nella figura (vista di taglio nella figura sotto).
Il Sole (Sun) è posto a circa 27.000 anni luce dal centro della Via Lattea, nel braccio di Orione,
tra il braccio a spirale del Perseus e quello del Sagittarius.

Il braccio di Perseo che, rispetto a noi, è verso l'esterno della galassia e lo vediamo di sera in inverno. Il braccio del Sagittario che, rispetto a noi, si trova verso il centro della Via Lattea lo vediamo nelle sere d'estate. Infatti il centro della Via Lattea, indicato dalla X rossa nella foto successiva, visto dalla Terra si trova in direzione del Sagittario, tra Sagittario e Scorpione e, in particolare tra la nebulosa M8 Lagoon e M6 Butterfly, l'ammasso stellare a forma di farfalla.

Adesso, spostandoci a 3 milioni di anni luce dal Sole possiamo vedere la nostra Via Lattea (in inglese Milky Way) attorniata dalle altre galassie appartenenti al nostro ammasso galattico locale, tra esse la già citata M31 Andromedae in basso a destra. Vicinissime alla Via Lattea ci sono 2 piccole galassie irregolari che sono satelliti della nostra (sono indicate in inglese con LMC e SMC). Si tratta della Grande e della Piccola Nube di Magellano (Large Small Magellanic Cloud) , completamente invisibili alle nostre latitudini perchè hanno declinazioni molto meridionali. Per vederle basse sull'orizzonte bisogna andare almeno in zone equatoriali. Per vederle alte sull'orizzonte bisogna andare a latitudini molto meridionali nell'emisfero australe, per esempio in Argentina o in Australia.


Quei puntini bianchi che vedete nella mappa non sono stelle e neanche galassie. Sono ammassi di galassie raggruppati in superammassi. Al centro c'è il nostro ammasso galattico locale che fa parte del superammasso della Virgo (Vergine).

L'universo oggi conosciuto ha un'età di circa 15 miliardi di anni luce.
È costituito da circa 100 miliardi di galassie che mediamente contengono 100 miliardi di stelle.

Com'è stato possibile misurare queste distanze?

E' evidente che le misure astronomiche non possono essere state ricavate con metodi diretti perchè i luoghi di cui si parla non sono accessibili all'uomo. Misurare la distanza da un punto A ad un punto B con un metodo diretto, presuppone che i punti A e B siano accessibili e che un uomo possa eseguire la misura percorrendo il tratto che separa A da B, per esempio, col contametri stradale.

Fin dall'antichità, lo spirito di osservazione e l'ingegno hanno permesso all'uomo di misurare le distanze che lo separavano da luoghi inaccessibili tramite procedure di misurazione indiretta anche con strumenti rudimentali.

Eratostene:

Già vi ho esposto, all'inizio di questa pagina, il procedimento semplice ed elegante seguito da Eratostene per misurare la lunghezza del meridiano terrestre. Conoscendo la misura della circonferenza terrestre è possibile ricavare la distanza la distanza fra due località che si trovano sullo stesso meridiano con un procedimento che è conseguenza di quello di Eratostene: la differenza tra gli angoli di altezza di una stella è uguale alla differenza di latitudine tra le due località da cui si effettuano le due osservazione (supposte per semplicità sullo stesso meridiano). Per calcolare la distanza tra queste due località basta dividere la circonferenza della Terra per 360 e moltiplicare il risultato per la differenza tra le latitudini o, il che è la stessa cosa, per la differenza tra gli angoli di altezza dell'astro.

La parallasse:

Vocabolo di origine greca che significa mutamento, deviazione. Esso si riferisce allo spostamento angolare apparente di un oggetto, quando viene osservato da due punti di vista diversi. Vi chiarisco il concetto:

Notate la diversa disposizione degli occhi nel capo degli erbivori e dei carnivori: nei primi sono disposti ai lati del capo, nei secondi sono sempre nella zona frontale.

Bovino

Gli occhi disposti ai lati del capo permettono un ampio campo visivo che consenta di scoprire l'avvicinamento dei predatori.

Gatto nell'atto di spiccare un balzo per la sicura cattura della preda di cui ha già valutato la distanza.

Gli occhi disposti in posizione frontale permettono la visione precisa della zona anteriore e realizzano due punti di osservazione diversi che mirano allo stesso oggetto (indispensabile per l'istintiva Parallasse) e consentano di valutare la distanza dalla preda. L'ampiezza della zona binoculare cambia in relazione alle caratteristiche predatorie. L'osservazione dell'oggetto, fatta contemporaneamente da due diversi punti di vista (i due occhi), genera nella visione una zona di sovrapposizione delle due immagini che dà la percezione della profondità dell'immagine (la tridimensionalità), la sua precisa "definizione" e la valutazione istintiva della distanza. (Nei seguenti disegni, la zona di visione precisa e profonda è rappresentata dal colore più scuro.)

Zona di visione binoculare

Ciò ci fa comprendere che la natura ha dotato l'uomo (e tutti i mammiferi predatori) delle opportune strutture che gli permettono di valutare istintivamente la sua distanza da un oggetto qualsiasi che sia alla sua portata.

Per addentrarvi nei ragionamenti che hanno portato al perfezionamento delle tecniche di parallasse è necessario che facciate le seguenti prove. Distendete il braccio e puntate un dito verso un oggetto sullo sfondo; chiudendo alternativamente prima l'occhio destro e poi il sinistro, il dito sembra spostarsi verso sinistra e successivamente verso destra. Ripetete tutto, dopo aver piegato il braccio per avvicinare il dito agli occhi: lo spostamento laterale del dito è maggiore. Potete concludere che un oggetto vicino ha una parallasse più grande rispetto ad un oggetto più lontano.

Se ripetete la prova, sostituendo il dito con un oggetto lontano, vi accorgerete che lo spostamento è così limitato da essere impercettibile. Ciò ci convince che la base di osservazione (la distanza fra i nostri due occchi) è troppo corta per valutare la distanza di un oggetto molto lontano. Volendolo fare ugualmente, è necessario allargare la base di osservazione. Ciò ci obbliga a spostarci fisicamente in due punti di osservazione diversi e sufficientemente lontani fra di essi "in relazione alla distanza da valutare".

Sperimentiamo:

Dal lato sinistro della stanza guardate una persona che si trova al centro: la vedrete in corrispondenza del lato destro della parete opposta. Spostatevi a destra e vedrete la stessa persona verso sinistra.

L'esempio precedente credo che vi abbia chiarito il fondamento della tecnica di misurazione con la parallasse. E' evidente che per valutare le distanze più grandi, occorre spostarsi successivamente in due punti diversi sufficientemente lontani fra loro. Per mezzo della misura dell'ampiezza degli angoli di osservazione siamo in grado di mettere in campo gli opportuni strumenti matemateci di calcolo. Il metodo, più semplice e alla portata di tutti, consiste nell'eseguire un disegno in scala che riproduca la base e i due angoli di osservazione. Dal disegno, infine, è facile risalire alla distanza reale cercata.

Il 7 novembre, per mettere alla prova questo rudimentale procedimento, ci siamo recati in piazza San Benedetto. Abbiamo deciso di misurare la distanza fra la mezzeria del marciapiede che costeggia il muro della Scuola e lo spigolo del recinto della chiesa San Germano (il lato AC della figura seguente). In relazione alla distanza da misurare, abbiamo scelto una base di osservazione adeguatamente lunga: AB (20 m) e, successivamente, dagli estremi A e B, abbiamo misurato gli angoli BAC e ABC. Dopo aver riportato i dati in disegni in scala opportuna, voi tutti, con qualche piccola differenza sieti arrivati a stabilire che AC è di 80 m. La misurazione è stata precisa e aderente perfettamente alla realtà.

Dovendo misurare distanze maggiori, la base di osservazione, come vi ho detto in precedenza, deve essere necessariamente più grande ed adeguata allo scopo.

Lo sviluppo della Parallasse nel sistema detto di "Triangolazione" ha trovato applicazione in Geografia per la determinazione delle grandi distanze e per la costruzione delle carte geografiche..........(continua)

 

 

 

 

 

Anche nel cielo, se si misura lo spostamento parallattico delle stelle, accade che la stella che ha uno spostamento maggiore è quella più vicina: nel disegno la stella in giallo lo è rispetto a quella in rosso. La base di osservazione, vista la grande distanza delle stelle, ha per estremi il diametro dell'orbita che la Terra descrive intorno al Sole.

Quello che si misura non è la lunghezza del segmento di spostamento che vedete proiettato sullo sfondo delle stelle fisse, ma è l'ampiezza della metà dell'angolo del triangolo che ha per vertice la stella.

L'unità di misura dell'angolo di parallasse è il Parsec (significa: parallasse di un secondo d'arco) che è la distanza di una stella (dal Sole o dalla Terra) che ha l'angolo di parallasse annua di 1''. Il Parsec è il cateto maggiore del triangolo rettangolo in cui il cateto minore è l'unità astronomica (ua) cioè la distanza media della Terra dal Sole ( nella sua orbita la Terra viene a trovarsi, durante l'anno, a distanze diverse dal Sole, da un minimo di circa 147 milioni di chilometri (perielio) a un massimo di circa 152 milioni di chilometri (afelio). La distanza media è di 149 597 870,700 km, cioè circa 1,496 × 10E11 m)

Il metodo della parallasse trigonometrica è il modo più antico e affidabile di misurare le distanze stellari. Ancora oggi si applica agli oggetti relativamente vicini (vedete più avanti per i dettagli).

Un parsec corrisponde quindi a:
360×60×60/2pigreco UA ˜ 2,06264806247096×10E5 UA = 3,08567758130573×10E16 m ˜ 30,8567758130573 Pm ˜ 3,261563777 anni luce.



Parallasse stellare.
Per motivi storici, gli astronomi in genere usano il parsec per le distanze astronomiche, invece degli anni luce. La prima misurazione diretta di un oggetto a distanze interstellari (della stella 61 Cygni), eseguita da Friedrich Wilhelm Bessel nel 1838, fu fatta basandosi sulla trigonometria, utilizzando l'ampiezza dell'orbita terrestre come linea di base. Il parsec, calcolato sempre in modo trigonometrico, geometricamente è il cateto lungo del triangolo rettangolo che ha come base l'unità astronomica, e come angolo al vertice un secondo (1") di grado sessagesimale.

Più una stella è vicina, più la sua parallasse è grande. Ma nessuna stella conosciuta ha una parallasse maggiore di 1 secondo d'arco, eccezion fatta per il Sole, perché nessuna stella è abbastanza vicina: il primato appartiene alla stella Proxima Centauri, con una parallasse di 0,762 arcosecondi, a una distanza di circa 4,28 anni luce, pari a circa 1,3 parsec. Poiché per archi molto piccoli l'arco e la corda tendono ad avere la stessa lunghezza, la distanza di un corpo celeste in parsec è il reciproco della sua parallasse in secondi.

La misura delle distanze degli oggetti celesti in parsec è un aspetto chiave dell'astrometria, la scienza del misurare le posizioni degli oggetti celesti.

A causa della piccolezza degli spostamenti parallattici, le osservazioni da terra forniscono misure affidabili per distanze stellari non più grandi di circa 100 parsec (325 anni luce), corrispondenti a parallassi di almeno 1 centesimo di secondo d'arco, o 10 mas (1 mas = 1 millesimo di secondo d'arco).

Tra il 1989 e il 1993 il satellite Hipparcos, lanciato dall'Agenzia Spaziale Europea (ESA) nel 1989, ha misurato le parallassi di circa 100 000 stelle con una precisione di 0,97 mas, e ha quindi ottenuto misure di distanza accurate per stelle fino a 100 parsec di distanza.

Il satellite FAME della NASA avrebbe dovuto essere lanciato nel 2004, per misurare le parallassi di 40 milioni di stelle con precisione sufficiente per distanze fino a 200 parsec. I finanziamenti necessari per la missione sono stati annullati dalla NASA nel gennaio 2002.

Il satellite GAIA dell'ESA, previsto per il 2013, avrà una precisione sufficientemente alta per misurare distanze stellari fino al centro galattico, a circa 8000 parsec di distanza nella costellazione del Sagittario, con una precisione del 90%.

Lo spostamento parallattico di una stella è tanto piccolo da essere trascurabile a tutti i fini usuali: nel caso di a Centauri, che ha lo spostamento parallattico maggiore di qualsiasi altra stella, la quantità è all'incirca il diametro di una monetina vista alla distanza di 2 Km. Una volta misurato lo spostamento parallattico di una stella, si può determinare la sua distanza mediante un semplice calcolo. Un oggetto abbastanza vicino da mostrare uno spostamento parallattico di 1'' (un secondo) di arco si trova alla distanza di un parsec . Nessuna stella è così vicina; la parallasse di a Centauri è di 0,75''. Un parsec è equivalente a 3,26 anni luce. Spesso gli astronomi preferiscono usare i parsec piuttosto che gli anni luce per la facilità con cui la parallasse può essere convertita in una distanza: la distanza in parsec di una stella è semplicemente l'inverso della sua parallasse in secondi. Per esempio una stella distante 2 parsec ha una parallasse 1/2 = 0,5''; se è distante 4 parsec, ha una parallasse 1/4 = 0,25'', e così via. Più lontana è una stella, più piccola è la sua parallasse. Al di là di circa 50 anni luce, la parallasse di una stella diventa troppo piccola da poter essere misurata con precisione mediante telescopi al suolo e pertanto si ricorre a tecniche più sofisticate.

Un parsec (1pc)

 



 

 

 

 

Giochiamo un pò...... (ma non tanto)!

Quasi sempre gli scienziati, con la loro curiosità, sono come i bambini e perciò giocano con delle ipotesi che quasi tutti noi considereremmo assurde.

Siamo veramente soli in questo spazio gremito di miliardi di miliardi di miliardi di.......corpi e praticamente vuoto per gli enormi spazi che separano un elemento dall'altro?

L'uomo potrà abbandonare il Sistema Solare e viaggiare nello spazio per raggiungere qualche pianeta orbitante intorno a una stella simile al Sole?

Si può tentare di comunicare con intelligenze extraterrestri?

Per quanto ne sappiamo, la Terra è l'unico pianeta sul quale si è sviluppata la vita. Eppure il nostro Sole è una stella molto comune e gli astronomi sono ormai convinti che molte dei 200 miliardi stelle nella nostra Galassia debbano avere pianeti simili al nostro. (Dopo il 1995 comunque si è riusciti finalmente ad identificare pianeti extrasolari, ed è molto probabile che in futuro si troveranno pianeti simili alla Terra). Se quest'ipotesi fosse vera, si potrebbe supporre anche che su questi pianeti si sia sviluppata la vita. Nel caso che alcune di queste forme di vita si siano evolute come il genere umano del pianeta Terra, si potrebbe ipotizzare che anche loro vorranno comunicare con altre specie presenti nella vastità dello spazio. Per questi motivi vi sono attualmente degli astronomi impegnati nella ricerca di segnali di altre creature intelligenti. Essi, aderendo al progetto SETI ( Search for Extra Terrestrial Intelligence ), stanno tentando di captare segnali radio provenienti da civiltà extra terrestri.

 

 

Vi presento un articolo di Margherita Hack:

Equazione di Drake - Ricerca di vita extraterrestre
di Margherita Hack
da "L'universo alle soglie del Duemila", 1995

La ricerca di intelligenze extraterrestri basata su argomenti scientifici è cominciata verso la fine degli anni '50. Si conoscevano ormai abbastanza bene i meccanismi di formazione ed evoluzione delle stelle, per poter affermare che la formazione di un sistema planetario doveva essere un fenomeno comune. Inoltre, la tecnica radioastronomica era già abbastanza sviluppata per poter captare eventuali segnali radio emessi da altre civiltà distanti qualche decina di anni luce. Si sarebbe potuto anche pensare di captare segnali luminosi artificiali, ma questi sono soggetti all'estinzione da parte delle polveri interstellari e all'assorbimento da parte di un cielo coperto di nubi, tutti ostacoli ignoti alle radioonde. Ammesso quindi che le eventuali civiltà extraterrestri abbiano più o meno le nostre conoscenze o conoscenze più avanzate, cercheranno di mandarci segni della loro esistenza usando le radioonde. Inoltre, poiché fra le radioonde una delle più studiate è la riga di 21 centimetri dell'idrogeno, potrebbero scegliere proprio questa lunghezza d'onda per avere una maggiore probabilità che un osservatore terrestre si accorga di segnali modulati - una specie di alfabeto Morse - sovrapposti ai segnali naturali emessi dal gas galattico. In base a questi ragionamenti, esposti da Giuseppe Cocconi e Philip Morrison in un articolo apparso sulla rivista "Nature" il 19 settembre 1959, il radioastronomo americano Frank Drake pensò di utilizzare il nuovo radiotelescopio di 25 metri di diametro dell'osservatorio radioastronomico nazionale degli Stati Uniti, situato a Green Bank in West Virginia. Il progetto di Drake prese il nome di Ozma, dal nome della principessa del fantastico paese di Oz, protagonista di un libro di racconti per bambini, famoso nei paesi anglosassoni. Certo che un osservatore extraterrestre che avesse raggiunto un alto sviluppo tecnologico sarebbe in grado di notare anche una periodica variazione delle emissioni radio terrestri legata al periodo di rotazione: si avrebbero dei massimi di flusso radio tutte le volte che l'osservatore vede l'Europa oppure il Nord America, dovuti al gran numero di trasmittenti.

Per fare una stima, sia pure molto grossolana, di quante civiltà possano esistere nella nostra Via Lattea, Drake scrisse un'equazione diventata famosa:

N = R fp ni fv fi fc D

dove N è il numero delle civiltà presenti oggi nella Via Lattea, R è il tasso medio di formazione delle stelle durante tutta la vita della Via Lattea, e che si ottiene dividendo il numero di stelle galattiche (circa 300 miliardi) per l'età della Galassia (circa 15 miliardi di anni), fp rappresenta la frazione di stelle con un sistema planetario, ni il numero di pianeti, in ciascun sistema, in condizioni adatte allo sviluppo della vita, fv la frazione di pianeti adatti in cui la vita si sviluppa effettivamente e si evolve verso forme molto complesse, fi la frazione di questi pianeti su cui si sviluppano forme di vita intelligente, fc la frazione di questi in cui le forme di vita intelligente sviluppano interesse per le comunicazioni interstellari, e infine D la durata media di una civiltà tecnologicamente avanzata.

In questa equazione l'unico termine abbastanza sicuro è R. Inoltre si possono escludere tutte le stelle doppie o multiple, i cui eventuali pianeti avrebbero orbite fortemente perturbate dalla presenza della o delle compagne ed inoltre anche le stelle di grande massa ed alta luminosità, che hanno una vita troppo breve per permettere lo sviluppo di forme di vita avanzate. Potremo stimare che un terzo delle stelle galattiche siano singole e di massa solare o più piccola. Per il resto bisogna fare delle ipotesi del tutto gratuite. Per esempio Drake suppone che, come nel nostro sistema solare, ci sia attorno a una stella un solo pianeta adatto alla vita; e che là dove ci sono condizioni adatte allo sviluppo della vita questa evolva sempre naturalmente verso forme di vita intelligente. Ciò equivale a porre fv = f i = 1. Ma non è detto che tutte le forme di vita intelligente diventino tecnologicamente avanzate e soprattutto interessate allo sviluppo di comunicazioni interstellari.

Drake assume fc = 0,01, cioè solo una su 100 civiltà è interessata o ha sviluppato tecnologia atta a comunicare con altri sistemi planetari. Infine, l'altra incognita è D. Quanto può durare una civiltà tecnologicamente avanzata? La nostra ha poco più di cento anni, e le tecniche per captare segnali extrasolari hanno meno di quarant'anni. Potrà durare secoli o millenni, o anche molto meno. Dipende dalla nostra capacità di rispettare l'ambiente e di non avviarci verso catastrofi nucleari o verso la distruzione dell'ambiente per eccesso di tecnologia. L'aumento dell'effetto serra e la rarefazione dello strato di ozono sono segnali premonitori inquietanti. Drake assume D = 10.000 anni.
Facendo i conti risulta N = 20 × 0,3 × 1 × 1 × 1 ×0,01 × 10.000 = 600.
Cioè nella Galassia esisterebbero 600 civiltà in grado di comunicare con noi.

Date le ipotesi fatte, è un conto estremamente incerto, ma comunque Drake, e con lui i più appassionati fautori del progetto SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence), A.G.W. Cameron, Carl Sagan, Cyril Ponnamperuma, hanno perseverato in questa ricerca, che qualcuno - ottimista - ha paragonato alla ricerca di una bottiglia con un messaggio nell'oceano. In realtà l'impresa è molto ma molto più ardua. Malgrado ciò, i proseliti sono cresciuti di numero, si sono tenuti convegni scientifici sull'argomento, e l'Unione Astronomica Internazionale ha fondato un'apposita commissione dedicata alla bioastronomia. All'ultimo congresso internazionale dedicato a questa ricerca, tenuto in Ungheria nel 1987, hanno partecipato astronomi e biologi e sono stati discussi i più vari argomenti.

Alcune condizioni necessarie alla vita

Vi è un certo numero di condizioni cui un sistema solare dovrebbe soddisfare perché vi si possa sviluppare la vita. Naturalmente se facciamo l'ipotesi (assai probabile, vista la grande uniformità di leggi fisiche e di composizione chimica nell'universo, ma non certa al cento per cento), che sia simile a quella che conosciamo sulla Terra.

Esse sono elencate come segue:

1. Condizioni imposte alla stella centrale:
- La stella centrale dovrebbe essere singola. Un sistema di stelle doppie o multiple impedirebbe lo stabilirsi di orbite planetarie stabili.
- Il sistema planetario dovrebbe contenere pianeti di massa notevolmente inferiore a Giove. La teoria di Cameron e i calcoli di Dole sembrano favorire questa condizione.
- La stella non dovrebbe appartenere alla prima generazione di stelle galattiche, perché in tal caso la materia da cui essa e i suoi pianeti si sarebbero formati non conterrebbe sufficienti quantità di carbonio, azoto, ossigeno, zolfo, fosforo, ferro, necessari per la formazione di composti biochimici.
- La massa della stella dovrebbe essere compresa grosso modo fra 0,5 e 2 masse solari. Stelle di massa maggiore avrebbero una vita troppo breve per permettere l'evoluzione di forme di vita tecnologicamente avanzate. Stelle di massa più piccola non emettono energia sufficiente ad alimentare la vita anche sui pianeti più vicini al proprio Sole. Dati i rispettivi tempi evolutivi, è probabile che la vita microbica sia di gran lunga più abbondante delle forme altamente evolute.

2. Condizioni a cui devono sottostare i pianeti:
- La massa dovrebbe essere abbastanza grande da trattenere un'atmosfera contenente gli elementi base della vita, idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno, ma non troppo, come è il caso di Giove, perché l'eccesso di idrogeno distruggerebbe le molecole biochimiche.
- L'orbita del pianeta dovrebbe essere quasi circolare per evitare variazioni troppo forti di temperatura e illuminamento, e ad una distanza tale da mantenere la temperatura media del pianeta a valori accettabili (fra circa -20 e +70 °C).
- L'atmosfera dovrebbe essere tale da permettere la formazione di molecole organiche e da proteggere il suolo dalla radiazione ultravioletta.
- Ci dovrebbe essere abbondante quantità di acqua allo stato liquido. Si ritiene che gli oceani forniscano l'ambiente più adatto perché avvenga la sintesi di molecole complesse prebiotiche e anche dei più semplici organismi viventi.
- È necessaria anche una superficie solida, ritenuta necessaria perché le complesse molecole dette monomeri si trasformino in polimeri.

Tutte queste condizioni sono ricalcate esattamente sulle condizioni riscontrate sulla Terra.
Ma non tutti i bioastronomi sono d'accordo.
Una piccola minoranza pensa che la vita non debba necessariamente avere la stessa origine ed essere ovunque basata su RNA e DNA.
Secondo loro, dunque, la vita potrebbe essere molto più diffusa di quanto ritiene la maggioranza, perché non sarebbe necessariamente soggetta a tutte le restrizioni che le nostre forme di vita terrestre richiedono.
Essi osservano che conosciamo molto poco a proposito dell'origine della vita; che in base alle nostre conoscenze non è affatto detto che essa sia cominciata con RNA; non abbiamo alcuna informazione su altre basi su cui possa svilupparsi la vita; nessuna delle nostre attuali conoscenze esclude forme di vita basate su sistemi materiali molto diversi. Perciò la nostra ignoranza sui processi chimici che sono stati all'origine delle forme di vita che noi conosciamo, richiede una buona dose di prudenza nel porre restrizioni sull'origine di esseri viventi. Secondo il chimico R. Shapiro e il fisico G. Feinberg, ci sono solo tre condizioni essenziali, e cioè: disponibilità di energia; un sistema di materia capace di interagire con l'energia e di usarla per diventare un sistema ordinato; e infine abbastanza tempo a disposizione per costruire quella complessità che è associata alla vita. Fra l'altro essi non escludono la possibilità di forme di vita in un liquido diverso dall'acqua, come per esempio l'ammoniaca, e una vita basata su minerali invece che sul carbonio.

Alla ricerca di segnali extraterrestri

Dopo il primo tentativo di Drake, il progetto Ozma del 1959, ne sono stati fatti molti altri, soprattutto da parte di ricercatori americani e sovietici. Drake osservò per tre mesi, e per un totale di duecento ore, due stelle abbastanza vicine, Tau Ceti e Epsilon Eridani, un poco più fredde del Sole, e a circa 12 e 11 anni luce rispettivamente. La lunghezza d'onda impiegata era quella di 21 centimetri dell'idrogeno interstellare. Da allora a oggi le osservazioni fatte con vari strumenti e in vari osservatori ammontano a più di 200.000 ore, equivalenti a osservazioni continuate per ventitré anni. Frattanto, il progresso tecnologico ha reso molto più efficienti questi mezzi.

Mentre Drake osservava a una sola lunghezza d'onda, a Harvard si può osservare contemporaneamente a più di 8 milioni di canali. Le stelle prese di mira sono sempre quelle di tipo solare o poco più fredde. Ossia stelle che hanno una vita abbastanza lunga - più di 10 miliardi di anni - da permettere, se le altre condizioni sono favorevoli, lo sviluppo di esseri intelligenti.

All'Università Stanford, in California, hanno progettato un analizzatore di spettro, che riceve un segnale abbracciante 10 milioni di Hertz, e in grado di distinguere frequenze separate di un Hertz, il che equivale a dire che ha 10 milioni di canali distinti. Così un'eventuale civiltà, che trasmetta a una di questi 10 milioni di frequenze, potrebbe essere scoperta. Se la sensibilità dei nostri ricevitori è abbastanza grande, si potrebbero rivelare anche segnali radio non necessariamente inviati nello spazio allo scopo di comunicare con altri sistemi solari, ma usati da questa ipotetica civiltà per trasmissioni fra vari luoghi del loro pianeta o, anche, fra pianeta e pianeta del loro sistema solare.

Certo si possono fare infinite ipotesi sul numero, grado di sviluppo, distanza di altre civiltà, sul loro interesse o meno di comunicare con altri sistemi solari, sul modo in cui potrebbero farlo, ma finché non riceveremo un segnale sicuramente artificiale, le nostre ipotesi resteranno tali.

 

 

Il 16 novembre 1974 è stato trasmesso, dal Radiotelescopio di Arecibo, in Porto Rico, un radiomessaggio in direzione di un ammasso di stelle: l'ammasso globulare M13 che si trova nella costellazione di Ercole e che dista dalla Terra 25000 anni luce. Il messaggio era composto da 1679 cifre binarie (numerazione in base due):

Il numero 1679 fu appositamente scelto in quanto è il prodotto di due numeri primi (23 e 73). In questo modo, si presupponeva che chiunque lo avesse ricevuto, per interpretarlo, avrebbe deciso di ordinarlo e sarebbe stato costretto a disporlo in un quadrilatero. Avrebbe potuto farlo soltanto ordinandolo in 23 righe e 73 colonne oppure 73 righe e 23 colonne. L'informazione così sistemata nella prima disposizione (23 righe, 73 colonne) produce un disegno senza senso, ma nel secondo modo (73 righe, 23 colonne) forma un'immagine nella quale si possono riconoscere delle informazioni (crittogramma di Drake).

Riflettiamo un pò sulle scelte fatte per inviare questo tipo di messaggio:

1) Il radio messaggio non poteva essere costituito da parole o da segni grafici corrispondenti alle parole di una lingua perchè chi lo avrebbe ricevuto non sarebbe stato in grado d'interpretarlo.

2) La matematica è l'unico linguaggio che utilizza schemi e simboli comprensibili in tutto l'universo e le sue leggi sono valide ovunque.

3) Il sistema di numerazione che si adatta ad una trasmissione radio è quella in base due perchè le sue cifre 0 e 1 si traducono semplicemente in off e on, cioè assenza oppure presenza di segnale.

4) Perchè la quantità di cifre trasmesse doveva essere un numero composto dal prodotto di due numeri primi? Per fare in modo che il destinatario del messaggio fosse costretto a rappresentarle soltanto in due modi diversi e avesse, quindi, la possibilità di scoprire facilmente il giusto ordine dei segnali.

Per esempio: se il numero delle cifre fosse stato 72, esso avrebbe creato difficoltà di ordinamento perchè si sarebbero potute disporre in 2x36 oppure 36x2, ma anche 4x18; 18x4; 8x9; 9x8; 3x24; 24x3; 6x12; 12x6. Come vedete con un piccolissimo messaggio si hanno molte disposizioni che ostacolano l'individuazione di quella giusta che possa permettere d'interpretarne il significato. Immaginate che cosa succederebbe con un messaggio composto da 1500 cifre o più!

5) Perchè è stato scelto l'ammasso globulare M13 della costellazione di Ercole? Premesso che il radiotelescopio non può inviare un segnale in tutte le direzioni del cielo, un ammasso globulare, essendo composto anche da centinaia di migliaia di stelle che si trovano addensate in una stretta parte del cielo, permette di avere una maggiore probabilità che il messaggio incontri qualche pianeta ricevente.

Sperimentate anche voi come si può decifrare un messaggio radio:

Immaginate di aver ricevuto questa sequenza di segnali traducibile in codice binario:

10111010011100001110000010001111111001110000111000011100001010000101001010101

Rammentate che dovete contare le cifre e controllare se il loro numero complessivo è il prodotto di due numeri primi che utilizzerete per costruire la griglia che riempirete graficamente in corrispondenza della presenza del segnale on.

Successivame ideate un vostro messaggio e speditelo a un compagno.

 

 

 

 

Origine del Sistema Solare

In base alle conoscenze attuali, l'ipotesi più accreditata sull'origine del Sistema Solare è la seguente:

Oltre cinque miliardi di anni fa, una stella "gigante rossa" che era arrivata al termine della sua esistenza esplose come una Supernova

e proiettò nello spazio un'enorme quantità di materia che viaggiò come una grandiosa onda d'urto composta da idrogeno.

Al termine del suo veloce spostamento, diede origine ad una nebulosa costituita da idrogeno e pulviscolo. Per effetto dell'attrazione gravitazionale fra i suoi elementi costituenti, la nebulosa collassò verso il suo centro in quanto esso era la zona con maggiore forza di attrazione gravitazionale. Ciò diede origine a un movimento spiraliforme della materia. Il corpo che si era formato divenne sempre più massiccio. La pressione sempre maggiore dei materiali che continuavano ad accumularsi in quel punto portò all'accrescimento della temperatura interna di quella enorme massa. Quando la pressione arrivò a qualche centinaio di miliardi di atmosfere (100000000000 atmosfere = 10132500000000000 Pascal), la temperatura interna raggiunse i 15 milioni di gradi. Allora ebbe inizio il processo di fusione nucleare che ancora oggi continua con la produzione di enormi quantità di energia. Il Sole brillò.

Nel vortice di materia che ancora circondava il sole si formarono delle zone di perturbazione che diedero origine a planetesimi che scontrandosi, fratumandosi o ricomponendosi, alla fine, diedero origine a nove pianeti che nel corso di miliardi d'anni hanno attratto il materiale circostante e ripulito le zone della nebulosa che si trovavano nella sfera d'azione della loro forza gravitazionale.

IL SOLE

L'energia del Sole si produce nel nucleo. Essa impiega un milione di anni per raggiungere la superficie della stella.

Il nucleo è rappresentato in bianco

Poi, si disperde nello spazio viaggiando alla velocità di 300000 km al secondo. Dopo otto minuti e mezzo, percorrendo 150 milioni di chilometri, raggiunge laTerra.

L'analisi spettografica della luce proveniente dal Sole permette di scoprire che la composizione della sua massa è costituta dal 73% d'idrogeno, dal 24% di elio e per il 3% di elementi più pesanti.

La parte superficiale del Sole è costituita dalla Fotosfera gialla (temperatura circa 6000 gradi) avvolta dalla turbolente Cromosfera rossa.

Sulla Fotosfera si vedono bolle di gas più caldi che risalgono in superficie e parti più scure di gas più freddi che ridiscendono all'interno della stella. Ogni bolla è più grande della Francia.

Sulla superficie del Sole compaiono, periodicamente, delle vaste zone molto scure, le Macchie solari, che sono molto più fredde della Fotosfera circostante.Questa macchia è più grande della Terra

Esse si formano nell'arco di una decina di giorni e spariscono entro 2 settimane. Le Macchie sono zone di attività magnetica e mostrano zone in cui escono e rientrano le linee di forza magnetica del Sole. Ogni 11 anni circa i Poli magnetici del Sole s'invertono.Le zone in cui le linee di forza magnetica convergono sono i due poli magnetici Nord e Sud

La velocità di rotazione della superficie del Sole è diversa: all'equatore compie una rotazione completa ogni 26 giorni, ai poli ogni 37. Questo fatto determina una distorsione delle linee di forza magnetica.

Nella Cromosfera, che si potrebbe impropriamente definire la bassa atmosfera del Sole, immensi archi di masse gassose si spostano lungo le linee di forza dei campi magnetici

Gigantesche protuberanze si spingono nello spazio formando archi alti 50 mila chilometri.

Colossali eruzioni perforano la superficie.

Le protuberanze a getto espellono materia e si prolungano fino a 100 mila chilometri

Ecco in proporzione le dimensioni della Terra

Le Eruzioni sono esplosioni molto più violente e scuotono la superficie del Sole con onde d'urto di grande energia

Le fessurazioni, prodotte dalle Eruzioni, deformano la superficie del Sole

Quando la Luna s'interpone fra la Terra e il Sole, ne oscura completamente il disco e ciò rende possibile l'osservazione della Corona. Essa è molto calda (fino a 2 milioni di gradi) e si agita in concordanza con le convulsioni della sottostante Fotosfera

Gigantesche eruzioni danno origine ad enormi Eiezioni della corona che espellono materia per milioni di chilometri

Anche a causa delle Eiezioni, dal Sole si propaga nello spazio un continuo flusso di particelle solari che dà origine al "Vento solare"

Le particelle solari (protoni ed elettroni) sono elettricamente cariche e, quando arrivano sulla Terra, fluiscono attorno al campo magnetico terrestre. Alcuni sciami si insinuano in corrispondenza dei Poli, dove il campo magnetico è più debole, e, ad altezze variabili fra 300 e 100 km (nella Ionosfera), urtano contro gli atomi della rarefatta atmosfera dando origine al fenomeno delle Aurore Polari . Infatti tali particelle, con le loro cariche, eccitano gli atomi dell'atmosfera che, diseccitandosi in seguito, emettono luce di varie lunghezze d'onda (per esempio l'azoto emette luci bluastre, l'ossigeno verdastre). A causa della geometria del campo magnetico terrestre, le aurore sono visibili in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra, dette ovali aurorali. Le aurore visibili ad occhio nudo sono prodotte dagli elettroni, mentre quelle di protoni possono essere osservate solo con l'ausilio di particolari strumenti, sia da terra sia dallo spazio.

Aurora polare in Alaska

Il Sole cambia forma come se seguisse delle sue pulsazioni interne di cui non si conosce l'origine. Ecco un fermo immagine ottenuto al computer sulla base dei dati trasmessi dalla sonda solare Soho:

Fra 5 miliardi di anni la riserva d'idrogeno del Sole sarà quasi esaurita e l'equilibrio, fra pressione espansiva, causata dalla fusione nucleare degli atomi d'idrogeno, ela pressione compressiva della forza di gravità, si perderà. La compressione prenderà il vantaggio e determinerà la contrazione del volume solare accompagnato da un crescente aumento della temperatura della parte centrale finchè non s'innescheranno le reazioni di fusione degli atomi di elio (Tre atomi di elio saranno trasformati in un atomo di carbonio, elemento più pesante dell’ elio). La velocità della reazione quindi incrementerà sempre più e la pressione espansiva ricomincerà a contrastare la gravità. Alla fine, espandendosi, raggiungerà, in successione, le orbite di Mercurio, Venere e Terra. Quando avrà inglobato anche la Terra, sarà diventato una gigante rossa.

Poi inizieranno le convulsioni e il sole emetterà nebulose come anelli di fumo.

Quando anche la fusione dell’elio sarà terminata, la contrazione della stella sarà talmente improvvisa da determinare un istantaneo aumento di temperatura che causerà una repentina espansione esplosiva. Le parti esterne del Sole saranno espulse nello spazio per dare vita ad una nebulosa planetaria. Il nucleo, invece continuerà a contrarsi diventando una nana bianca

delle dimensioni della Terra e, non avendo più la possibilità di innescare altre fusioni nucleari, pian piano si spegnerà come stella nana nera, svuotata della sua energia.

Da Wikipedia; esempio: la celebre nebulosa planetaria M57 nella costellazione della Lira

Le nebulose planetarie si formano quando delle stelle di piccola o media grandezza, come il Sole, esauriscono la loro riserva di idrogeno nel loro nucleo; in questa fase le strutture della stella cambiano per raggiungere un nuovo equilibrio in cui è possibile continuare ad avere le reazioni di fusione nucleare: gli strati esterni così si espandono e la stella diventa una gigante rossa. Quando la temperatura interna aumenta di instabilità, gli strati più esterni possono venir espulsi sia in maniera continua che tramite alcune violente pulsazioni. Questo involucro di gas in espansione forma le nebulosa sferica, illuminata dall'energia ultravioletta della stella centrale. Questa stella non potrà dunque più produrre energia attraverso la fusione nucleare e in termini di evoluzione stellare si avvicina alla fase di conversione in una nana bianca compatta. Questa stella ora è formata soprattutto da carbonio e ossigeno, con un sottile involucro esterno composto da elementi più leggeri. La sua massa è di circa 0,61 - 0,62 masse solari, con una temperatura superficiale di circa 124.000 gradi. Attualmente la stella è 200 volte più luminosa del Sole. Nell'immagine, i diversi colori dei gas espulsi dalla stella centrale vanno dal blu al violetto in relazione alla diminuzione della loro temperatura.

Mercurio

All'inizio della formazione del Sistema Solare vi era solo un immenso vortice di gas e di polveri

 

e la materia che si addensava intorno al Sole .................

Riassunto da sviluppare:

IL PIANETA PIU' VICINO al Sole, Mercurio, percorre la sua orbita ellittica in soli 88 giorni, meno di un quarto del tempo impiegato dalla Terra per completare un'orbita intorno al Sole. Mentre la sua orbita è molto veloce, la rotazione di Mercurio sul suo asse è così lenta che il giorno mercuriano è più lungo del suo anno. Mercurio, dopo il lontanissimo Plutone, è il pianeta più piccolo del Sistema Solare e ha un diametro pari a un terzo di quello terrestre. Mercurio possiede un grande nucleo di ferro che genera un campo magnetico. Il Mariner 10, una navicella spaziale senza equipaggio, ha visitato Mercurio nel 1974, scoprendo che la superficie del pianeta è completamente craterizzata e che il pianeta è privo di atmosfera, proprio come la nostra Luna. La superficie di Mercurio può raggiungere una temperatura di 450 °C, ma durante la notte la temperatura scende fino a - 170 °C.

Poiché Mercurio è molto vicino al Sole, questo appare molto luminoso. Mercurio si trova tre volte più vicino al Sole rispetto alla Terra; perciò, il Sole, da Mercurio, risulta tre volte più grande di quanto si veda dalla Terra. Eppure il Sole, osservato da Mercurio, è nove volte più brillante di quando viene guardato dalla Terra. Questo è un esempio di proporzionalità quadratica inversa (la luminosità di una fonte di luce diminuisce con l'aumentare della distanza di una quantità che dipende dal quadrato della sua distanza).

Durante il XIX secolo, gli astronomi hanno scoperto che l'orbita ellittica di Mercurio ruota gradualmente nello spazio. Questo fenomeno è rimasto inspiegabile fino al 1915, quando Albert Einstein elaborò una nuova teoria della gravità: la Teoria Generale della Relatività.
Einstein aveva previsto, infatti, questo tipo di movimento per un pianeta così vicino alla forte gravità solare. Il moto di Mercurio era quindi la prova che Einstein aveva ragione.

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Continua

Edoardo Del Foco