Interventi degli alunni in occasione delle giornate di "Mercatino" in onore di San Benedetto

I figuranti rappresentano Fibonacci e alcuni dotti dell'epoca.

In particolare:

1) Leonardo Pisano, detto Fibonacci, racconta come sia arrivato ad interessarsi del sistema di numerazione indo-arabico (l'arte dei nove simboli indiani). Egli ne spiega le caratteristiche ed i vantaggi rispetto alla numerazioni additive e si sofferma sul sistema di moltiplicazione a “Gelosia”.
2) Vengono presentati gli antichi metodi per contare (l'uso delle mani e del corpo) e per rappresentare i numeri: i sassolini, le conchiglie, i simboli cuneiformi, le taglie, i simboli della numerazione romana e il loro uso.
3) La descrizione e l'uso dell'abaco usato dai “calculatores” romani.
4) Il ruolo dei mercanti nell'evoluzione del sistema di numerazione indiano e la scoperta della necessità di assegnare un simbolo allo zero.
5) L'origine della “Successione di Fibonacci” e le sue proprietà che portano, in particolare, alla semplice costruzione di una spirale logaritmica e alla progressiva individuazione delle cifre del numero f quale sintetica rappresentazione del rapporto aureo.
6) La forma dei numeri: i numeri triangolari, i numeri quadrati, gli gnomoni, la teoria dei quattro elementi primordiali e l'etere. Il mondo sublunare e i movimenti propri dei quattro elementi e la conseguente spiegazione dell'equilibrio dei corpi.
7) Le condizioni di equilibrio in una leva, nella carrucola fissa e in quella mobile.
8) L'acqua e l'orizzontalità della sua superficie, il problema del suo sollevamento: la vite di Archimede
9) Le misurazioni indirette: il quadrante, il bastone di Giacobbe

Fibonacci

Salve! sono Leonardo, detto Fibonacci perchè figlio di Guglielmo Bonacci. Sono un mercante, come mio padre, e ho anche la passione per la matematica e per le tecniche di calcolo che sono utili a tutti coloro che vivono di commercio.

La mia passione è nata quando mio padre mi fece istruire da maestri arabi a Bugia in Algeria. (La repubblica di Pisa lo aveva inviato in quel luogo per curare gli interessi dei mercanti pisani).

Lì ho approfondito le mie conoscenze di matematica e, in seguito, ho viaggiato molto. In ogni occasione e in ogni località ho dovuto apprezzare gli enormi vantaggi di rappresentazione e di calcolo forniti dai sistemi matematici usati nei paesi che visitavo. Mio padre, appunto, desiderava che io divenissi un abile mercante e così aveva provveduto alla mia istruzione nelle tecniche del calcolo, specialmente quelle che riguardavano le cifre indo-arabiche, che non erano conosciute nelle nostre terre. In seguito egli volle il mio aiuto per far progredire il commercio della repubblica pisana e mi mandò in Egitto, Siria, Grecia, Sicilia e Provenza. Ho colto questa opportunità per studiare ancora e per approfondire le conoscenze delle tecniche matematiche impiegate in quelle regioni dominate dagli Arabi. Tutta questa mia curiosità aveva avuto origine dalla scuola di ragioneria che avevo avuto proprio a Bugia. Lì, mi avevano insegnato l'arte dei nove simboli indiani e lì avevo cominciato a capirla e ad apprezzarla per i vantaggi di scrittura e di calcolo che mi offriva.

La conoscenza di quest'arte mi piacque più di ogni altra cosa e, avendo cominciato a capirla, in seguito ho sempre sviluppato le questioni matematiche attraverso di essa e, in questo modo, ho potuto scoprire ed utilizzare tutte le sue varie forme. La terra degli arabi è vasta; la tradizione e la struttura dell'arte dei nove simboli è la stessa, ma la forma nell'arabo occidentale è diversa da quella dell'arabo orientale.





Ho terminato i miei viaggi nel 1200 e sono ritornato a Pisa. Reputando che i miei studi fossero utili per i miei concittadini e per tutti quelli che ne avessero giusta curiosità, ho riportato le mie conoscenze dell'arte dei simboli indiani nel “Liber abaci” che ho finito di scrivere nel 1202. Ho provato anche a risvegliare le antiche abilità matematiche con altri scritti quali “Practica geometriae” (1220), “Flos” (1225), e “Liber quadratorum”.

Messeri, apprendete anche voi “l'arte” poiché la numerazione romana, che vi ostinate ad usare, non facilita i calcoli e la veloce scrittura dei numeri. Non vi rendete conto che essa, man mano che i numeri crescono in grandezza, richiede nuovi simboli? I numeri sono infiniti e, perciò, infiniti sono i simboli che il vostro sistema di numerazione dovrebbe fornire per rappresentarli.

Quale mente può ricordarli e scriverli?

L'arte, di cui vi parlo, si serve solo di 9 simboli e di un ultimo, aggiunto dai mercanti, lo zero. Essi da soli permettono di scrivere tutti i numeri anche quelli contenuti nella sabbia dell'oceano!

Se mi ascolterete vi svelerò la loro magia con questo semplice attrezzo.

(Usare opportunamente l'abaco aperto e far comprendere l'importanza dell'uso dello zero)



Messeri, ora che vi è chiara “l'arte”, vi sarà anche facile comprendere che per fare i calcoli non è necessario l'abaco perché, come ho scritto nel mio libro, la somma può essere calcolata scrivendo i numeri in maniera da far corrispondere le cifre dello stesso ordine di valore; proprio come si fa nell'abaco romano. Per eseguire tutte le infinite moltiplicazioni possibili è sufficiente imparare a memoria soltanto i 100 prodotti delle moltiplicazioni dei 10 simboli fra loro.

Il calcolo fatto col sistema musulmano detto a “Gelosia” si dispone così come nell'esempio:

324 via 43








Oppure:

Col metodo noto agli indiani come “moltiplicazione fulminea”




La sottrazione e la divisione non creano difficoltà se si pensa che esse sono, rispettivamente, l'inverso dell'addizione e della moltiplicazione.

Dedicatevi allo studio dell'arte dei simboli indiani e, come è capitato a me, ne trarrete vantaggio e gloria!

L'Imperatore Federico II mi ha voluto alla sua corte per farmi competere in gare di matematica e per cimentare il suo intelletto nei problemi che io propongo.

Di tutto questo e di altro vi parleranno i miei collaboratori. Andate!



ANTICHI METODI PER CONTARE E PER LA RAPPRESENTAZIONE DEI NUMERI

La necessità di contare e memorizzare le quantità corrispondenti, ad esempio, a collezioni di oggetti o alla composizione di un gregge, ha indotto i vari gruppi umani ad escogitare un proprio metodo per contare e per la rappresentazione dei numeri.

Sicuramente i metodi di conteggio e calcolo si sono sviluppati parallelamente ai metodi di rappresentazione numerica e il primo strumento di rappresentazione è stato senza dubbio il corpo stesso, e soprattutto le mani con le loro dita (presso alcuni popoli i nomi dei numeri erano quelli delle dita corrispondenti).
Dal conteggio elementare sulle dita (ogni dito un'unità) si è passati a metodi più sviluppati.
Per esempio la figura ci mostra l'uso delle falangi per contare fino a 28 sulle due mani (ogni falange rappresenta una unità):




Oppure nelle popolazioni viventi nelle regioni a clima caldo e prive d' indumenti estesi si sono utilizzate anche altre parti del corpo per memorizzare un conteggio:




Comunque nel passato, le tecniche per contare mediante l’uso della mano (chiamata indigitatio) erano particolarmente utilizzate in Europa e per molti secoli hanno mantenuto una posizione di rilievo nell’ambito della matematica. Il più celebre di questi sistemi digitali di rappresentazione dei numeri è sicuramente quello proposto dal Venerabile Beda (un celebre monaco benedettino inglese).


Nella figura sono riportate le posizioni delle dita e i gesti corrispondenti ai numeri da uno a un milione. Se si osserva con attenzione ogni figura della tavola, si possono scoprire le regole precise secondo le quali venivano rappresentati i diversi numeri.
Ad esempio, per le unità venivano usati soltanto il mignolo, l’anulare e il medio della mano sinistra, mentre il pollice e l’indice indicavano le decine. Per le centinaia si usavano pollice e indice della mano destra, mentre le altre tre dita servivano per le migliaia. In questo modo chi si trovava di fronte alla persona che presentava un numero sulle sue dita, poteva leggerlo comodamente da destra a sinistra. Per i numeri maggiori di diecimila entravano in gioco le mani e altre parti del corpo.

E' da tener presente che il simbolismo “digitale” presentato dal Venerabile Beda, si ricollega a più antichi metodi romani e greci di cui si trova testimonianza in molti testi.

La pratica della digitazione era diffusa fra tutte le popolazioni e in molti mercati orientali si contratta anche oggi il prezzo di una merce toccandosi le dita, con le mani coperte da un pezzo di stoffa, per non far scoprire agli altri l’importo pagato per la merce.

Così accade ad esempio in un mercato della provincia cinese del Kan-Su:

L’acquirente mette le mani nelle maniche del venditore. Parlando del più e del meno, egli prende l’indice della mano del venditore, cioè offre 10, 100, 1 000.No!” dice l’altro.
L’acquirente prende allora insieme l’indice e il medio.
“D’accordo” risponde il venditore.
L’affare è concluso e l’oggetto è venduto per 20 o 200”.

Naturalmente l’ordine di grandezza del prezzo della merce, decine, centinaia o migliaia, viene stabilito prima della trattativa manuale.

Anche Fibonacci, presentando le nuove cifre arabe, nel suo Liber Abaci, scritto nel 1202, consigliava, per impratichirsene, di iniziare con l'uso delle dita:

Le moltiplicazioni con le dita devono essere praticate regolarmente, affinché la mente, parallelamente alle mani, diventi più sciolta nel sommare e moltiplicare numeri diversi”.

(Soltanto nel sedicesimo secolo, quando finalmente le nuove cifre arabe si diffusero anche al di fuori dell'ambiente dei matematici, il metodo di calcolo con le dita scomparve dall'Europa.)

La moltiplicazione con le dita consente di ridurre la conoscenza delle tabelline al 5x5. Ecco un esempio.
Per moltiplicare 7 per 9, si indicano, su una mano, le unità in eccesso del 7 rispetto al 5 e, sull'altra, le unità in più del 9, sempre rispetto a 5. Se si sommano poi le dita alzate sulle due mani, 2 e 4, si ottiene la cifra delle decine, cioè 6. Se si moltiplicano fra loro i due numeri che rappresentano le dita che non sono state alzate, cioè 3 e 1, si ottiene la cifra delle unità del prodotto, cioè 3. Questo metodo funziona per tutti i numeri compresi fra 5 e 9 (se si deve moltiplicare 5 per 7 ci sarà il riporto di un'unità alle decine, infatti il prodotto delle dita abbassate 12. In tal modo, i conti tornano anche in questo caso). Si può andare oltre la cinquina dei numeri tra 5 e 9, infatti quello appena visto non è che un caso particolare di un metodo più generale che ha le sue origini nell'antica India.

Si può estendere ai numeri compresi fra 10 e 14.

Si indicano le unità in eccesso rispetto al 10 dei due termini del prodotto. Al risultato ottenuto si dovrà ancora aggiungere 100.
Ad esempio, moltiplicando 12 per 14, le dita alzate sono rispettivamente 2 e 4 che sommate fanno 6, la cifra delle decine. Per ottenere la cifra delle unità, in questo caso, si deve moltiplicare ancora le due quantità di dita alzate, 2 e 4: 2 x 4 = 8.
Aggiungendo 100 si ottiene il prodotto: 60 + 8 + 100 = 168.

La memorizzazione di un conteggio o di un calcolo implica necessariamente anche la rappresentazione dei numeri. Le soluzioni sono state tante e tutte ben articolate in relazione all'epoca e alla storia dei popoli:

a) L'impiego di un insieme di gettoni, cioè sassolini, o conchiglie, o piccoli elementi in creta, ecc. per rappresentare i numeri ha caratterizzato sicuramente le civiltà più antiche. (Si pensi che la parola calcolo deriva dal latino calculus: pietruzza)

Gruppo di sassolini per rappresentare il numero otto:


il metodo si limitava ad una corrispondenza uno a uno tra i sassolini e gli oggetti da contare. Per facilitare la rappresentazione di numeri grandi, il metodo fu poi perfezionato introducendo l'idea di rappresentare una quantità prestabilita di elementi (cinquina, decina, ecc.) con un singolo gettone di forma diversa.


Ricostruzione di gettoni diversi per la rappresentazione di numeri:



In quel tempo, presso i Sumeri, si estese l'abitudine di rappresentare le quantità degli animali e delle merci, spedite in altre località e affidate a carovanieri, con dei gettoni di grandezza e di forma diversa. Questi venivano racchiusi in un contenitore d'argilla che potesse conservarli e che a garanzia dell'integrità del contenuto portasse all'esterno l'impronta lasciata da una sorta di sigillo di riconoscimento del mittente. Il contenitore era per lo più di forma cilindrica o sferica: in pratica una “bulla”. Era un primo rudimentale tentativo per permettere il controllo della corrispondenza fra quantità spedite e la sua certificazione: era un'antica forma delle attuali bolle di accompagnamento delle merci. Per accertare la suddetta corrispondenza era necessario rompere il contenitore e ciò, a causa della mancanza del sigillo, impediva di ricostruire il contenitore originale e per questo ostacolava la sottrazione di parte della merce per opera di qualche carovaniere disonesto. Un difetto della bulla, così concepita, consisteva nell'impedire spedizioni per destinazioni molto lontane che richiedevano il trasporto tramite una catena costituita da carovaniere diverse. La soluzione del problema fu trovata quando un po' alla volta si cominciò a raffigurare il contenuto sull'esterno della bulla al fine di evitarne l'apertura. Questo processo, spostando l'attenzione dal contenuto della bulla alla raffigurazione esterna, portò lentamente all'introduzione di un sistema di scrittura dei numeri indipendente dall'uso di sassolini e gettoni.


Ricostruzione di una bulla (nella figura) per la rappresentazione di numeri, utilizzata dalle antichissime popolazioni sumeriche.

Queste fasi della storia del commercio sono state fondamentali per portare i Sumeri alla rappresentazione simbolica dei numeri e all'invenzione del più antico sistema di numerazione (terzo millennio a. C.)

Il successivo uso delle tavolette di creta testimonia ancora meglio la struttura del sistema di numerazione sumero, detto cuneiforme: esso usava due soli simboli ed era di tipo misto: additivo e posizionale.

I simboli utilizzati dal sistema di numerazione sono due:


I simboli sono composti, per formare i numeri, fino al 59, era di tipo additivo, per somma del valore dei simboli posti gli uni vicino agli altri.

Dal 60 in poi la rappresentazione diviene posizionale in base 60. Lo stesso simbolo assumeva, infatti, il valore diverso se scritto distanziato con uno spazio dagli altri simboli. Esempi:




.

b) Un metodo molto comune ed antico per rappresentare numeri consistette sicuramente nel fare un opportuno insieme di incisioni su un pezzo di legno o di osso (taglia).


Per contare più facilmente le incisioni, la quinta e la decima incisione venivano indicate con una forma diverse dalle altre.

Questo metodo è ancora utilizzato dai Germani per indicare le quantità di latte:

Taglia per indicare il numero 44:




Taglia per indicare il numero 190:




Taglia per indicare il numero 277:


c ) Un altro metodo molto antico per registrare numeri è rappresentato dall'impiego di cordicelle annodate. La dimestichezza che molti popoli avevano con esse nella vita quotidiana ha certamente suggerito il loro impiego nella rappresentazione dei numeri. Tra i vari popoli che utilizzarono ampiamente come sistema di registrazione le cordicelle annodate vanno sicuramente ricordati gli Incas, i cui Quipu permettevano di rappresentare dati numerici e altri tipi di informazioni.




d) Il sistema di numerazione romano, nonostante sia antico, è ancora utilizzato in certe circostanze oggigiorno.

I simboli utilizzati dal sistema di numerazione romano sono:




Erano, inoltre, usati i seguenti sei gruppi base:


Regole

I simboli sono composti, per formare i numeri, secondo una logica additiva - sottrattiva e non di tipo posizionale.

Le lettere I - X - C si potevano ripetere fino a tre volte (II=2; III=3; XX=20; XXX=30)

Tutti gli altri numeri si ottengono mediante varie combinazioni dei sette simboli fondamentali e dei sei gruppi base.

Logica additiva: si ottiene il numero sommando i valori relativi ad ogni simbolo per ottenere l'equivalente decimale.

Esempi:

VI = 6; VIII = 8; XII = 12; LV = 55; CLVIII = 100+50+5+1+1+1 = 158

Logica sottrattiva: se un simbolo di valore minore precede uno di valore maggiore allora occorre sottrarre il valore minore al maggiore per ottenere l'equivalente decimale.

Nota. Solo I da V e da X, X da L e da C e C da D e M possono essere sottratti. Questa regola consente di non dover scrivere più di tre simboli uguali

Esempi:

IV = 4; IX = 9; XLIX = 40+9; XC = 90; CD = 400; CMLIX = (1000-100)+50+(10-1) = 959

Note alle regole particolari:

I primi 3 multipli dei simboli base I, X, C, M, si ottengono ripetendo i simboli.

Ad esempio XX=20, XXX=30, questi simboli possono essere ripetuti solo tre volte.

I simboli V, L, D, non si ripetono mai.

I gruppi base sono gli unici casi in cui si indica un numero con una sottrazione, infatti 49 non si scrive con il simbolo IL (50-1), ma si deve scrivere ordinatamente XLIX (40+9).

Mediante queste regole il numero più alto che si può scrivere è 3999=MMMCMXCIX

(3000+900+90+9) e infatti si è visto che il simbolo M non si può ripetere più di tre volte e non c'è nessun simbolo fondamentale superiore a M. Per ovviare a questo e proseguire la numerazione, i Romani usavano un accorgimento particolare, ponendo sopra il simbolo una lineetta ¯ e con questo intendevano moltiplicare per 1.000 il valore dei numeri.

Per moltiplicare poi un numero per 1.000.000, oltre alla linea superiore gli si aggiungevano due linee verticali |¯| tali da incorniciarlo (un milione di volte più grande).

Nota storica

Il sistema usato nell'antica Roma era additivo nel vero senso della parola e i valori dei simboli

venivano sempre addizionati ed era accettata la ripetizione di un simbolo anche per quattro

volte.

Quello descritto sopra e ancora utilizzato è il risultato delle modifiche effettuate nel Medioevo.

Il calcolo

Da quanto esposto precedentemente si può intuire che dal suo uso scaturiscono diverse difficoltà:

1. difficoltà a scrivere numeri grandi (nonostante il trattino posto sopra i simboli per indicare x1000);

2. nei calcoli i simboli non si possono incolonnare.

Ciò fa comprendere che era indispensabile utilizzare uno strumento che permettesse di registrare i numeri e di effettuare i calcoli con addizioni o sottrazioni ripetute: “l’abaco”.

Lo strumento veniva utilizzato per scopi pratici. Esistevano a Roma dei veri professionisti dell'arte di eseguire conteggi, erano detti calculatores ed esercitavano (presso ricchi banchieri, latifondisti e signori in genere) la professione che noi chiameremmo del ragioniere.

I reperti archeologici rinvenuti permettono di descriverlo: esso si presenta con 8 scanalature lunghe a cui sono sovrapposte altrettante piccole fessure.

In ciascuna di queste guide sono infisse delle palline un po' schiacciate dalla forma simile ad una testa di chiodo, che possono scorrere lungo il proprio asse.




I valori corrispondenti a ciascuna scanalatura sono tracciati con una sottile linea forata che disegna ciascun simbolo numerico:




Ogni pallina delle colonne inferiori vale 1 mentre la singola pallina superiore sta per il numero 5.

(Le due prime colonne a destra, contrassegnate con i simboli "0" ed "s", non rispettano questa regola perchè servivano per contare i sesterzi.
La numerazione romana delle monete si effettuava tramite frazioni in base 12. Dunque la pallina superiore vale 6 mentre ciascuna delle inferiori vale 1).

Per scrivere un numero intero qualsiasi bisogna portare verso il simbolo del corrispondente ordine (ovvero al centro della tavola) decimale le palline che lo rappresentano, facendo scivolare cioè dal basso verso l'alto ciascuna pallina del valore di 1 ed abbassando invece il "bottoncino" che simboleggia il numero 5.


Ad esempio il numero 5328 si scrive così:



L’addizione

Addizionare un numero intero a con un numero intero b, significa contare, nella successione dei numeri naturali, partendo da a, tante unità consecutive uguali a quelle indicate da b.
Nel caso di addizione di tre o più addendi si determina prima la somma dei primi due e poi si procede con gli altri.
Poiché l'addizione gode della proprietà commutativa (cambiando l'ordine degli addendi la somma non cambia), i calculatores sceglievano l’ordine dei numeri in base alla convenienza di calcolo.
Come eseguivano questa operazione tra numeri interi gli antichi Romani con l'ausilio dell'abaco?

Ad esempio, dovendo eseguire: 5328 + 12922, si rappresenta il primo numero sull'abaco:




si sommano i pallini corrispondenti alla colonna dell'unità: (8 + 2) = 10, cioè zero unità ed una decina.
Allora sull'abaco si ha:




Poi si sommano queste decine alle altre cioè 3+2=5.
Sull'abaco si abbassa il bottoncino in alto, corrispondente alle decine:








Nella colonna delle centinaia si esegue 9+3, si ottiene 12, cioè 2 centinaia e 1 migliaio che si scrive così:




Nella colonna delle migliaia si esegue 6+2 = 8.


Nell'ultima riga dell'abaco si scrive solo 1 decina di migliaia.
La somma di 5328 + 12922 è, appunto, 18250




ESERCIZI:

Quale numero è raffigurato sull'abaco sottostante?
[50128] oppure [4512] oppure [507351] ?


Quale abaco indica il numero 5328, il primo o il secondo?




Il sistema di numerazione indiano

E’ evidente che la numerazione romana non facilitava i calcoli e la veloce scrittura dei numeri. Essa inoltre, come tutte le numerazioni additive richiedeva l’introduzione di nuovi simboli man mano che si consideravano numeri più grandi. Teoricamente era una numerazione ingestibile poiché essendo infinito l’insieme dei numeri parimente infinito doveva essere l’insieme dei simboli necessari alla loro rappresentazione.

Eppure l’uso dell’abaco si fondava sui meccanismi propri delle numerazioni posizionali. Infatti le fessure dell’attrezzo sono classificate in unità, decine, centinaia, migliaia ecc. come nella numerazione a base 10 che usiamo oggi; inoltre se nell’abaco dobbiamo addizionare 8 alle 4 palline presenti nella fessura delle unità, dobbiamo lasciare 2 nella fessura delle unità ed incrementare di uno le palline indicate nella colonna delle decine.

Tutto sembra funzionare come nella numerazione decimale. Che cosa mancava allora? La variazione di valore di un simbolo in base alla posizione di scrittura: cosa che poteva permettere l’uso di un numero limitato di simboli per scrivere i numeri e, molto importante, l’uso dello zero: un concetto che nelle numerazioni additive non aveva ragione di esistere.

Stranamente la variazione di valore delle palline in relazione alla posizione avveniva nell’abaco, ma la scrittura dei numeri non si basava su questo meccanismo!

Gli Indiani avevano evitato tutti questi inconvenienti con l’invenzione di un sistema di numerazione “ posizionale” basato su dieci simboli soltanto! Il sistema indiano fu poi adottato dagli arabi e da questi, infine, il nostro Fibonacci ne ebbe conoscenza e apprezzamento.

Inizialmente le cifre usate dagli Indiani erano 9 “da 1 a 9” (vedi la tabella seguente) e per differenziare il valore di trecentotre da trentatre, ad esempio, si limitavano a lasciare uno spazio vuoto fra i due tre:

3 3 invece di 33.

Questo poteva creare confusione!

Mancava, quindi, per arrivare alla scrittura moderna dei numeri, un perfezionamento di non secondaria importanza: l'introduzione dello zero, una cifra alla quale nessuno, fino a quel tempo, aveva ancora pensato.

Lo zero venne introdotto, come simbolo della numerazione, dai mercanti indiani del IX secolo dopo Cristo, poiché essi si erano accorti che lasciando degli spazi vuoti, nella scrittura dei numeri, c'era il rischio di incorrere in equivoci molto seri.

Il pericolo maggiore di errore si sarebbe verificato tuttavia se gli spazi vuoti fossero stati quelli finali, quindi ad esempio per i numeri 120 o 1200.

I mercanti indiani, che erano gente pratica che non andava troppo per il sottile, introdussero, senza farsi troppi scrupoli, un simbolo specifico per indicare il vuoto.

Come mai ci volle tanto tempo per capire che lo zero rappresentava una cifra fondamentale per la scrittura dei numeri? Il fatto è che i numeri vennero introdotti per contare gli elementi di una collezione e lo zero, all'interno di questa operazione, rappresenta il nulla, il vuoto. Era quindi difficile pensare allo zero come a qualche cosa di concreto.

Prima dell'invenzione dello zero fu introdotto, in verità, il punto per indicare lo spazio vuoto. Il punto è il simbolo visibile di più piccole dimensioni che si possa utilizzare per mostrare qualche cosa di immateriale e quindi era ciò che più si avvicinava al concetto di niente. Il punto però non rappresentava un numero, e quindi non poteva dare una risposta concreta ad un'operazione matematica del tipo, ad esempio, di due meno due.

Uno sguardo particolare, quindi, va rivolto ai sistemi di numerazione indiano e arabo, dai quali ha avuto origine il sistema posizionale decimale diffuso in Europa.

Ecco l'albero genealogico delle cifre che oggi usiamo per la scrittura dei numeri:


L'introduzione del sistema di numerazione indo-arabico in Europa, con il sistema posizionale e il simbolo per lo zero, rese considerevolmente più semplici i calcoli aritmetici. Non si sa esattamente quando questo nuovo sistema sia entrato in Europa: il manoscritto più antico contenente numeri arabi è il Codex Vigilanus, scritto in Spagna nel 976 (attenzione! La Spagna era stata conquistata in buona parte dagli arabi).

La sua diffusione, però, è legata essenzialmente alle opere di Al-Khuwarizmi, tradotte in latino e diffuse attraverso la Spagna con il sistema delle Università, e agli scritti di Leonardo Pisano oltre che al contributo delle scuole d'abaco.

Fibonacci nella sua opera più importante, Liber abaci, completata nel 1202, discute in maniera esauriente metodi e problemi algebrici, magnificando decisamente l'uso delle cifre indo-arabiche. Nel libro (in latino) descrive "le nove figure indiane" insieme al segno 0 e le regole che tutti noi impariamo per sommare, sottrarre, moltiplicare e dividere.








Dopo aver spiegato i procedimenti aritmetici, compresa l'estrazione di radici, si addentra in problemi relativi a transazioni commerciali, usando un complicato sistema di frazioni nel calcolo di cambi di monete.
Purtroppo, il principale vantaggio della notazione posizionale, la sua applicabilità alle frazioni, è sfuggito quasi totalmente a coloro che usarono le cifre indo-arabiche durante il primo millennio della loro esistenza. Anche Fibonacci, nella sua opera, usa le frazioni a numeratore unitario e le frazioni comuni e presenta tavole di conversione per passare dalle une alle altre.

Tra i problemi trattati nel Liber abaci, sicuramente il più famoso è il seguente:

Quante coppie di conigli verranno prodotte in un anno, a partire da un'unica coppia, se ogni mese ciascuna coppia dà alla luce una nuova coppia che diventa produttiva a partire dal secondo mese?

Questo problema dà origine alla Serie di Fibonacci : 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, .., un , .. dove .

un = un-1 + un-2

L'Europa occidentale si dimostrò molto aperta verso la matematica araba, più di quanto non lo fosse stata con la geometria greca. L'abbandono del vecchio sistema numerico romano, però, avvenne molto lentamente. Malgrado la popolarità del libro di Fibonacci tra gli scolari, il primo manoscritto francese ad usare il nuovo sistema di numerazione fu scritto nel 1275. Il sistema di numerazione greco rimase popolare nelle regioni attorno all'Adriatico ancora per molti anni. Per molti secoli vi fu una forte competizione tra "abacisti" e "algoristi" e questi ultimi trionfarono definitivamente. BIOGRAFIA DI LEONARDO FIBONACCI
Leonardo Fibonacci, figlio di Guglielmo Bonacci, nacque a Pisa intorno al 1170. Suo padre era segretario della Repubblica di Pisa e responsabile a partire dal 1192 del commercio pisano presso la colonia di Bugia, in Algeria. Alcuni anni dopo il 1192, Bonacci portò suo figlio con lui a Bugia, più tardi chiamata Bougie, e ora chiamata Bejaia.

Bejaia è un porto sul Mediterraneo, nella parte nord-est dell'Algeria. La città giace alla foce del Wadi Soummam, vicino al Monte Gouraya e Capo Carbon. A Bugia, Fibonacci imparò la matematica e viaggiò moltissimo con suo padre, riconoscendo gli enormi vantaggi dei sistemi matematici usati nei paesi che visitarono. Il padre appunto, voleva che Leonardo divenisse un mercante e così provvide alla sua istruzione nelle tecniche del calcolo, specialmente quelle che riguardavano le cifre indo-arabiche, che non erano ancora state introdotte in Europa. In seguito Bonacci si assicurò l’aiuto di suo figlio per portare avanti il commercio della repubblica pisana e lo mandò in viaggio in Egitto, Siria, Grecia, Sicilia e Provenza. Leonardo colse l’opportunità offertagli dai suoi viaggi all’estero per studiare e imparare le tecniche matematiche impiegate in queste regioni

Fibonacci scrive nel suo famoso libro Liber abbaci (1202):

Quando mio padre, che fu nominato, dal suo paese, notaio della clientela a
Bugia, per operare a favore dei mercanti pisani che si recavano là, fu in carica,
mi chiamò con lui, quando ero appena un bambino, e, siccome aveva occhio per i
vantaggi e le future convenienze, decise che io dovessi stare là e che ricevessi
un'istruzione nella scuola di ragioneria. Qui, mi venne insegnata l'arte dei nove
simboli indiani, attraverso notevoli insegnamenti e, presto, la conoscenza dell'arte
mi piacque più di ogni altra cosa e cominciai a capirla, per cui ogni cosa fu, in
seguito, studiata attraverso l'arte, in Egitto, in Siria, in Grecia, in Sicilia e in
Provenza, in tutte le sue varie forme.

Fibonacci terminò i suoi viaggi intorno all'anno 1200, e a quel tempo ritornò a Pisa. Qui, egli scrisse un gran numero di testi importanti, che giocarono un ruolo determinante nel risvegliare antiche abilità matematiche e diede molti contributi significativi. Fibonacci visse nel periodo antecedente l'invenzione della stampa a caratteri mobili, per cui i suoi libri furono scritti a mano e l'unico modo per averne una copia era di possedere un'altra copia scritta a mano. Dei suoi libri, abbiamo ancora copie del Liber abbaci (1202), Practica geometriae (1220), Flos (1225), e Liber quadratorum.

Di  tutta la sua produzione,  importante è il "Liber abaci", comparso attorno al 1228: è un lavoro contenente quasi tutte le conoscenze aritmetiche e algebriche dell’epoca e ha avuto sicuramente una funzione fondamentale nello sviluppo della matematica dell’Europa occidentale. In particolare la numerazione indo-arabica, che prese il posto di quella latina semplificando notevolmente la rappresentazione dei numeri, il calcolo e l’agevolazione dei rapporti commerciali extraeuropei, fu conosciuta in Europa prpoprio tramite questo libro. In tale sistema di numerazione, il valore delle cifre dipende dal posto che occupano: pertanto essa costringe all’introduzione di un nuovo simbolo, corrispondente allo zero "0", per indicare le posizioni vacanti.

Un problema, nella terza parte del Liber abbaci, portò all'introduzione dei numeri di Fibonacci e della sequenza di Fibonacci, per i quali è ricordato ancora oggi:

Un certo uomo mette una coppia di conigli in un posto circondato su tutti i lati da
un muro. Quante coppie di conigli possono essere prodotte da quella coppia in un
anno, se si suppone che ogni mese ogni coppia genera una nuova coppia, che dal
secondo mese in avanti diventa produttiva?

E’ facile capire che nel primo mese, quest’uomo, avrà 1 coppia e così il secondo mese (perché la coppia non è ancora matura per la riproduzione). Nel terzo mese la coppia si riprodurrà e quindi le coppie totali saranno 2. Nel quarto mese, la prima coppia si riprodurrà ancora e la seconda coppia non lo farà perché non è ancora matura per la riproduzione. Nel quarto mese perciò le coppie saranno 3. Nel quinto mese anche la seconda coppia si riprodurrà e per questo le coppie nuove da aggiungere a 3 saranno 2. Dopo di ciò l’accrescimento del numero delle coppie si espande sempre di più perché man mano le coppie diventano mature per la riproduzione. La sequenza è la seguente:


1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, ...

 

La successione, generandosi, rispetta la regola di calcolare il termine successivo attraverso la somma dei due termini che lo precedono:

In generale, se indichiamo con F la precedente successione e con F(1) il primo termine e F(2) il secondo termine e così via, si avrà:

F(1) = 1
F(2) = 1
F(n) = F(n – 1) + F(n – 2)

Dove

F(n) è un termine qualsiasi

F(n-1) è il termine che lo precede

F(n-2) è il termine che lo precede di due posti

Il “Liber quadratorum”, scritto nel 1225, è un altro scritto di Fibonacci molto importante. Il nome del libro significa il libro dei quadrati ed è un libro sulla teoria dei numeri. Egli notò che i numeri quadrati potevano essere costruiti come somme di numeri dispari, descrivendo, in linea essenziale, un procedimento induttivo e usando la formula n^2+(2n+1)=(n+1)^2. Scrive:

Ho pensato all'origine di tutti i numeri quadrati e ho scoperto che essi derivano
dal regolare aumento dei numeri dispari. L'1 è un quadrato e da esso è
prodotto il primo quadrato, chiamato 1; aggiungendo 3 a questo, si ottiene il
secondo quadrato, 4, la cui radice è 2; se a questa somma viene aggiunto un terzo
numero dispari, cioè 5, verrà prodotto il terzo quadrato, cioè 9, la cui radice è 3;
per cui la sequenza e le serie dei numeri quadrati derivano sempre da
addizioni regolari di numeri dispari.

Dopo il 1228 non si sa in sostanza niente della vita di Leonardo tranne che un decreto della Repubblica di Pisa gli conferì il titolo di "Discretus et sapiens magister Leonardo Bigollo" a riconoscimento dei grandi progressi che egli aveva apportato alla matematica. Fibonacci morì qualche tempo dopo il 1240, presumibilmente a Pisa. Anche al giorno d’oggi la fama di Leonardo è tale che esiste un’intera pubblicazione dedicata a lui e alle sue opere: il "Fibonacci Quarterly", infatti è un periodico di matematica dedicato interamente all’aritmetica connessa alla sequenza di Fibonacci.

Proprietà della serie di Fibonacci

1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, ...

Questa semplice, non rimarchevole sequenza ha affascinato i matematici per secoli. Le sue proprietà presentano caratteristiche che coinvolgono sorprendentemente sia le regole estetiche dell’arte degli antichi Greci quanto le leggi naturali di crescita delle piante o di alcuni animali

1)     Consideriamo, per esempio, il seguente grafico:






Sono stati disegnati quadrati con lati la cui lunghezza corrisponde ai termini della successione di Fibonacci.

Se si disegna una curva continua lungo la direzione delle diagonali, si ottiene una spirale che è detta “Spirale  Logaritmica” . La regola che si deve seguire per disegnarla è la stessa che determina l’accrescimento delle conchiglie o anche delle infiorescenze a capolino. Infatti la si ritrova in natura quando si osservano alcune conchiglie o la disposizione (a doppia spirale) dei semi in un fiore di Girasole.


1)     Consideriamo il rapporto fra un termine qualsiasi e il termine precedente


Il risultato si avvicina sempre di più a un numero particolare: 1,618033989…..

Che è un numero irrazionale indicato col simbolo Ф (fi).

Stranamente questo numero è legato anche ad un’importante questione estetica:

Fin dall’antichità i Greci consideravano particolarmente armoniosa la forma del rettangolo avente le dimensioni rispondenti ad una particolare proprietà matematica.

Tale rettangolo era detto “Rettangolo Armonico o Aureo”


Lo si costruisce a partire da un quadrato qualsiasi ABCD, si indica con m il punto medio di AB e si punta in esso il compasso con apertura mC e lo si riporta sul prolungamento di AB determinando così la posizione del punto F.

Il segmento AF è una delle dimensioni del rettangolo armonico; l’altra dimensione è il lato AD del quadrato.

Il rapporto fra il lato maggiore e il minore è detto rapporto aureo.

Supponiamo che AB = BC = 1 , allora mB = ½

Col teorema di Pitagora si ha:

dato che mF2 = mC2 = mB2 + BC2 = (1/2)2 + 12 = ¼ + 1 = 5/4



Questo numero, che era noto ai Greci col nome di Rapporto Aureo,  è proprio il rapporto che abbiamo scoperto nella successione di Fibonacci :  1,618033989…
Essi credevano che il rapporto
f:1 fosse perfetto e utile per la scelta di proporzioni esteticamente gradevoli e perciò in tutte le loro opere, nella scultura come nell’architettura, ne fecero un uso costante.


Alcuni esempi di rapporto aureo in natura:














Indicazioni per l'esposizione delle teorie filosofiche e delle conoscenze tecnologiche del 1200-1400

ARISTOTELE
Aristotele immagina l'Universo costituito da sfere concentriche, con la Terra al centro, immobile.
Egli quindi propone un modello geocentrico.
Secondo Aristotele, la Terra è formata da quattro elementi: la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco . Le varie composizioni degli elementi costituiscono tutto ciò che si trova nel mondo. Ogni elemento possiede due delle quattro qualità (o «attributi») della materia:
il secco (terra e fuoco),
l'umido (aria ed acqua),
il freddo (acqua e terra),
il caldo (fuoco e aria).

Ogni elemento ha la tendenza a rimanere o a tornare nel proprio luogo naturale, che per la terra e l'acqua è il basso, mentre per l'aria e il fuoco è l'alto.
La Terra come pianeta, quindi, non può che stare al centro dell'universo, poiché è formata dai due elementi tendenti al basso, e il "basso assoluto" è proprio il centro dell'universo.
Riguardo a ciò che si trova oltre la Terra, Aristotele lo riteneva composto di un quinto elemento: (o quintessenza perchè si aggiunge agli altri quattro elementi)l'etere .
L'etere, che non esiste sulla Terra, sarebbe privo di massa, invisibile e, soprattutto, eterno ed inalterabile: queste due ultime caratteristiche stabiliscono un confine tra i luoghi sub-lunari del mutamento (la Terra) e i luoghi immutabili (il cosmo).


Nel mondo sublunare vi sono tutte le forme di movimento, mentre nel secondo vi è solo il movimento circolare.
Il movimento dei quattro elementi è rettilineo, mentre quello dell'etere è circolare (questa teoria fu accolta dai pensatori del medioevo ).

In questa struttura Aristotele fa una distinzione fra corpi “pesanti” terra e acqua, che “naturalmente” cadrebbero verso il centro dell'Universo, e corpi “leggeri” che “altrettanto naturalmente” si muoverebbero verso l'alto, cioè dal centro verso l'esterno per recarsi nel proprio luogo naturale.
Per quanto riguarda i movimenti dei corpi che appartengono, per loro natura, alle sfere della Terra, dell'Acqua, dell'Aria o del Fuoco sappiamo che essi avvengono, secondo quanto è stato detto, con Aristotele, soltanto quando essi sono liberi, verso le sfere di appartenenza. Così, quella parte di acqua che è vincolata dal caldo e dalle nubi nella sfera dell'aria, all'orchè si libera cade con movimento rettilineo verso la sua sfera di appartenenza.
Anche qualsiasi corpo che appartiene alla sfera della Terra cade verso di essa a meno che non vi sia un vincolo che lo trattenga. Così un corpo sospeso non è libero di cadere e risulta fermo, in equilibrio, come quello che sanno trovare i giocolieri e i funamboli.
1) Se un corpo è sospeso per una sua estremità, esso trova equilibro disponendosi al di sotto del punto di sospensione poiché così la maggior parte della materia che lo compone si avvicina alla sfera della Terra.
2) Se un corpo è sospeso per una sua estremità e se la maggior parte della materia risulta al di sopra della sospensione, vi potrà essere un equilibrio solo temporaneo perchè la materia tenderà a cadere e ad avvicinarsi alla sua sfera.
3) Se il punto di sospensione divide equamente la materia che lo costituisce, l'equilibrio ci sarà in qualsiasi posizione del corpo perchè la parte più lontana dalla sfera della Terra sarà equilibrata dalla parte più vicina ad essa e non vi è ragione che possa spingere la materia a cambiare posizione: è come se la materia fosse concentrata nel punto di sospensione che corrisponde a quello che oggi (2012) chiameremmo baricentro.
Il baricentro è una nozione geometrica già nota nell'antichità e definita principalmente come il punto d'intersezione delle mediane di un triangolo. Perciò è facile, per un giocoliere, individuare il punto di equilibrio di un corpo omogeneo di forma triangolare. Anche per quelli di forma quadrata, rettangolare, circolare ecc.
Per quelli irregolari, i giocolieri, usano sospenderli per una loro estremità perchè così sanno che il punto di equilibrio si trova al di sotto di esso, lungo la linea di un filo a piombo. Poi li sospendono per un'altra estremità e con il filo a piombo individuano nell'intersezione con la linea precedente la posizione esatta del punto di equilibrio che permetterà di sbalordire le genti che assistono alle loro sorprendenti attività.
Uno di questi consiste nel far rotolare verso il basso, com'è naturale, un cilindro disposto su due tavole inclinate e convergenti; la sorpresa degli spettatori si coglie, poi, allorchè si ripete la prova sostituendo il cilindro con un doppio cono e si vede che questo procede in senso contrario rotolando verso la parte delle tavole che si trova più in alto. Sembra che le leggi della natura siano sovvertite perchè un corpo della sfera della Terra si muove verso l'alto! Ciò non è vero perchè la maggior parte della materia è situata in corrispondenza dei vertici dei due coni e questa, pur scorrendo verso la parte alta delle tavole, in realtà si avvicina di più alla terra e quindi cade. Questo è lo spirito dei giocolieri che ovunque trova inganni per sorprendere coloro che si avvicinano ad osservare la loro arte. Essi non sovvertono le leggi della natura fissate nei movimenti delle sfere celesti, ma sorprendono soltanto chi li osserva senza cogliere i particolari che confermano l'esattezza dell'antica filosofia.
Per quanto riguarda i corpi appoggiati, essi sono stabili se la maggior parte della materia si trova in basso al fine di rispettare la sua tendenza ad avvicinarsi in massima parte alla Terra.
Anche l'acqua tende a muoversi verso il basso come c'insegna il fluire dei fiumi verso il mare.
Quando l'acqua non è completamente libera ed è contenuta in un recipiente, essa si dispone in modo che la sua superficie sia orizzontale. Anche quando è contenuta in due recipienti comunicanti, non può accadere che in uno di essi il livello sia maggiore rispetto all'altro perchè nei due rami l'acqua ha la stessa tendenza a cadere verso il basso e quindi non vi può essere preminenza di discesa di una parte rispetto all'altra. Inoltre, nel caso che i recipienti comunicanti siano di dimensioni diverse non si verifica che il livello sia diverso, snche se si potrebbe ipotizzare che la maggiore quantità di acqua in uno di essi abbia maggiore tendenza a cadere rispetto a quella che ne costituisce una parte minore: la natura di acqua è identica indipendentemente dalla quantità e pertanto tutti e due i rami spingeranno verso la caduta nella sfera dell'acqua con la stessa intensità. Questo è il principio che ha permesso agli antichi romani di costruire acquedotti mirabili per soddisfare i bisogni delle loro città.
Fin dall'antichità l'uomo ha relizzato strumenti che permettono di opporsi alla naturale tendenza di caduta dei corpi o che addirittura ne agevolino il sollevamento.
La soluzione più antica forse è la leva.
Inizialmente la costruzione delle leve era per lo più basata sulla pratica operativa e, nella loro relizzazione, si procedeva per tentativi.
Soltanto con gli studi di Archimede si riuscì a violare il segreto di questa macchina sorprendente. Se sospendiamo a un sostegno un'asta rigida provvista di fori, questa può rappresentare un modello di leva. Se il punto di sospensione è il punto centrale dell'asta, scopriamo che un peso posto a 6 fori dal centro è equilibrato da un altro peso uguale posto dalla parte opposta a 6 fori dal centro. Così se ne sospendiamo 2 a 3 fori dal centro, l'equilibrio si avrà con altri 2 identici posti dalla parte opposta a 3 fori di distanza dal centro; e così via. La leva in questo caso sta funzionando come una bilancia.

Adesso se sospendiamo ancora 2 pesi a 3 fori dal centro, scopriamo che li possiamo equilibrare con 1 posto dalla parte opposta a 6 fori di distanza dal punto centrale. Ciò fa intuire che la leva ci può permettere di sollevare con poco sforzo qualche cosa di più pesante: basta allungare il braccio della leva dalla parte in cui agiamo con la nostra forza. Ma di quanto si deve allungare per avere l'equilibrio? Facciamo un'altra prova: mettiamo 3 pesi a 2 fori di distanza dal centro; possiamo realizzare l'equilibrio mettendone dalla parte opposta sempre 1 a 6 fori di distanza, oppure 3 a 2 fori. Dagli esempi si nota che l'equilibrio si ha sempre quando il prodotto dei fori di distanza per la forza che resiste è uguale al prodotto dei fori di distanza per la forza che agisce: 2x3 = 6x1 oppure 2x3 = 3x2.

Si può provare anche a complicare la disposizione dei pesi: esempio 2 pesi a 2 fori e 2 a 1 foro. Saranno equilibrati da 1 a 6 fori perchè :

(2x2 + 2x1) = 1x6

 

La Terra e l'Universo


La Terra, al centro dell'Universo, è circondata da sfere concentriche che in successione sono: l'acqua, l'aria, il fuoco, la luna, mercurio, venere, il sole, marte, giove , saturno e infine la sfera delle stelle fisse.

Pitagora ipotizzava che la terra fosse sferica perché la sua ombra,durante l'eclisse di Luna, si manifestava sempre con contorno circolare. Inoltre, egli faceva notare che la curvatura della Terra è resa evidente dalle navi in avvicinamento alla costa perché queste si presentano all'orizzonte sempre in modo da far vedere prima le vele, la loro parte più alta, e anche la chiglia quando si sono approssimate ulteriormente.

Invenzioni e conoscenze tecnologiche

(Fino alla terza distruzione di Montecassino)


MERIDIANE 4000 a. C.

260 a.C. PESO SPECIFICO Archimede di Siracusa : opera “Sul galleggiamento dei corpi”

VITE DI ARCHIMEDE

LEVA - La si usava da tempi preistorici, ma fu Archimede a elaborarne il principio di funzionamento

Fuochi artificiali

150 a. C. ASTROLABIO E' lo strumento che permette di localizzare o calcolare la posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle. Può anche determinare l'ora locale conoscendo la longitudine, o viceversa (attribuito all'astronomo greco IPPARCO DI NICEA, il fondatore della trigonometria. Altri l'attribuiscono a CLAUDIO TOLOMEO di Alessandria d'Egitto).

144 aC Acquedotto romano [ Il più antico, ma non di struttura monumentale, risale al tempo del re assiro Sennacherib (VII sec. a.C.) e riforniva di acqua la città di Ninive, in Mesopotamia ]

300 aC Ruota idraulica

ERONE: goniometro

ERONE: costruì apparecchi basati sulla dilatazione dei gas e sulla forza di espansione del vapore acqueo e l'eolipila

105 dC invenzione della carta in Cina da parte di un funzionario: TSAI LUN . Nell' VIII secolo gli arabi l'appresero dai cinesi.

140 dC SISTEMA TOLEMAICO

1180 BUSSOLA MAGNETICA

1249 LENTI
1249 OCCHIALI con lenti convesse ne parla Roger Bacon di una notizia proveniente dalla Cina
1270 prototipo in Europa da parte di un frate di Pisa Alessandro della Spina o forse nel 1278 da Salvino degli Armati di Firenze

V sec. a.C. Si ha notizia dell'argano dal medico greco Ippocrate che lo usò (come si fa ancora oggi) per distendere gli arti fratturati dei suoi ammalati. Nel III sec a.C. Una descrizione di questo strumento per sollevare pesi la dà Archimede

CARRUCOLA fu realizzata dal filosofo Archita di Taranto (428-347) a.C. (ultimo seguace della scuola di Pitagora)

CARTA DEL CIELO Il matematico EUDOSSO (400-350) rappresentò il cielo su una grossa pergamena. Non era una cosa facile perchè se nella Terra esistevano punti di riferimento fissi, la volta celeste con le sue stelle mutava continuamente. ECATEO ideò il istema che ancora oggi è la base della cartografia celeste e anche di quella terrestre: prese come punto di riferimento la STELLA POLARE, e da questa tracciando immaginarie linee che si allontanavano, fu in grado di situare le stelle in modo inequivocabile. Le linee divergenti sono quelle che oggi usiamo per indicare l'ascensione retta e le linee parallele, che con le prime formano angoli retti, danno la declinazione.

 

Abaco – Inventato circa 5000 anni a.C. dagli Assiri come strumento di calcolo. I più antichi consistevano in una tavoletta d'argilla con alcune scanalature in cui collocare piccole pietre corrispondenti alle unità, alle decine e alle migliaia.

 

Ago – I primi aghi in osso sono stati ritrovati in Europa e risalgono a circa 6000 anni a.C.

Amo – Gli ami più antichi risalgono al neolitico (5000-3500 a.C.)

Ancora -Aquilone -Aratro – Arco (architettura) -Arco e frecce – Arcolaio – Argano – Arpa – Asfalto – Astrolabio – Balestra – Barca – Bardatura per cavalli -Bilancia – Bronzo – Bulino – Bussola – Calcestruzzo – Carrucola – Carta – Carta geografica- Carta nautica – Carte da gioco – Catapulta – Chiodo – Clessidra – Compasso – Denti artificiali – Dentifricio – Diga – Falce – Ferro per cavallo – Filo a piombo – Fognatura – Forbici – Forchetta – Fuochi d'artificio – Fuoco – Fuoco greco – Fusione dei metalli – Galleria – Gnomone – Goniometro – Gru – Inchiostro – Lampada a olio – Legno compensato – Lenti d'ingrandimento – Leva – Livella – Mantici – Martello – Martinetto – Mattone – Meridiana – Molla a balestra – Moneta – Mulino ad acqua – Mulino a vento – Nave – Notazione musicale – Numeri – Occhiali – Odometro – Ombrello – Organo – Orologio – Osservatorio astronomico – Palla – Pane – Papiro – Pattini – Penna per scrivere – Peschiera – Pettine – Polvere da sparo – Pompa – Ponte – Porcellana – Posta – Pressa – Rasoio – Rotazione delle colture – Rubinetto – Ruota – Saldatura – Sapone – Scafandro – Sci – Sedia – Sega – Serratura – Specchio – Staffa – Stampa – Stenografia – Strada – Strumenti musicali – Tegole – Telaio – Teodolite – Timbro – Torchio – Tornio – Trapano ad arco – Tubazione – Valvola – Vernice – Vetro – Volta -


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